giovedì 16 giugno 2016

Repubblica 16.6.16
Nel capoluogo veneto è in servizio un magistrato ogni 23 mila abitanti, meno della metà della media italiana
Il presidente del tribunale: senza questi contributi non ce la faremmo
di Piero Colaprico

I detenuti mandati a scuola di computer e poi impegnati, in carcere e in tribunale, a scannerizzare i fascicoli. Gli alpini che si occupano fisicamente del trasloco come volontari. Gli ingegneri e gli architetti a disegnare un po’ meglio gli spazi interni. Il palazzo – o meglio, i palazzi – di giustizia di Vicenza, ma anche di Verona, sono in grado di raccontare dal profondo Nord, e dal ricco Veneto, come il rapporto tra il cittadino e la legge stia talmente dentro una tempesta perfetta che si prova persino a fare un po’ a meno di Roma: e del ministero.
Le due città sono divise da 60 chilometri, è sufficiente passare sull’autostrada A-4 perché l’occhio si stanchi nel vedere senza pause capannoni, industrie, aziende agricole. «Ogni tribunale italiano – spiega uno dei magistrati che lavora nello sgarrupato palazzo di Santa Corona, in attesa di trasloco nei quattro edifici della nuova sede – ha una pianta organica. La nostra provincia ha 860mila abitanti e 36 magistrati. Nel 2013 avevano detto da Roma che saremmo aumentati a 41, mai successo. Per capirci, Verona e provincia hanno 920mila abitanti e 10 colleghi in più. E se in Italia è previsto che ci sia un magistrato in media ogni 11mila abitanti, qui ce n’è uno ogni 23mila e passa, forse Treviso sta anche peggio».
Una spiegazione di questo strabismo c’è, anche se è talmente assurda che per carità di patria sarebbe meglio non saperla: «Quei tribunali veneti, così anche Brescia – spiega il procuratore generale del capoluogo Pierluigi Dell’Osso – sono stati disegnati dal ministero quando le città italiane erano diverse. Cioè, quando Brescia non era la capitale industriale, quando il Veneto era agricolo…». Insomma, i decenni e le trasformazioni «epocali» sono trascorsi per tutti, meno che per le antiche sfingi di via Arenula.
«Nel marzo 2014 – racconta Fabio Mantovani, presidente dell’ordine degli avvocati vicentini – ero così disperato da lanciare una provocatoria istanza di fallimento al tribunale. Certo, non può fallire, ma volevo testimoniare il nostro stato d’animo. Eravamo da tre anni senza un presidente, mancava il 40 per cento dei magistrati. Sette anni per un giudizio di primo grado. In più, c’ingessava l’immobilismo politico sul mantenere o meno il tribunale di Bassano o trasferirlo qui. Persino le udienze per il conferimento delle tutele, a difesa dei disabili, saltavano e c’erano le file delle barelle nei corridoi».
Questo scempio, ovunque tragico, è diventato di calore atomico in una provincia dove, come elenca Elisabetta Boscolo, segretaria generale della Camera di Commercio, «il reddito pro capite è di 29mila euro contro una media nazionale di 26. Anche grazie a circa 100mila imprese che ci mettono al terzo posto italiano per esportazioni all’estero, dopo Milano e Torino. Mentre il tasso di disoccupazione è del 6,7 per cento contro il dato nazionale 2014 del 12,7». Se dalla Vicenza dei «magna gatti» si emigrava, ora si viene a chiedere lavoro.
I traslochi, si sa, a volte sono simbolici. Senza dubbio lo è questo in corso nella città del Palladio. Un solo dato basterà: la settimana scorsa, nella vecchia e centrale sede, da oltre dieci senza manutenzione, è stata chiamata la squadra anti-pidocchi. Quindi, dal condominio fuligginoso gli uffici si stanno finalmente trasferendo a Borgo Berga: ma come? Le uniche parole che si ottengono dal presidente del tribunale, l’altoatesino Alberto Rizzo, sono: «Grazie al territorio stiamo risorgendo».
Sono stati il volontariato, un po’ di soldi per i detenuti, persino l’intervento del CoEspu, una scuola militare dei carabinieri destinata alle forze di pace, a mettere in moto il «risorgimento » locale. Vicenza vede un inedito italiano, che può riassumersi in un «chi può lavora gratis» per il trasloco e chi può (fianco a fianco con i detenuti in semilibertà) trasforma i fascicoli cartacei in file. Il trasloco va avanti e, nello stesso tempo, prima non arrivavano a una sentenza di primo grado il 67 per cento dei fascicoli, ora il 50.
A conferma di questo attivismo dei veneti, va citato il caso del tribunale del lavoro di Verona: in tabella ci sono tre giudici, ma da tempo il presidente del tribunale ne ha aggiunto d’autorità un quarto senza aspettare Roma. Come mai? La legge stabilisce che nelle cause di lavoro la prima udienza venga fissata entro due mesi.
Antonio Gesumunno, uno dei quattro, consulta l’agenda: «Appena ricevuto un atto, ho fissato la prima data utile, 27 gennaio 2017. Non c’è spazio prima. A Milano riescono a stare nei due mesi, sono calibrati sul territorio, qui ogni anno ci arrivano circa mille e 700, 800 cause, ma sempre quattro siamo. Impugnazioni di licenziamenti collettivi, cause per gli appalti, cause per i trattamenti di fine lavoro non pagati...».
È lungo l’elenco, nel Nord dove da decenni sembra che per il ministero si possa rispondere come in un negozio: «Non c’è nessuno, passi più tardi».