Repubblica 14.6.16
Quei feroci clan del litorale declassati a bande di strada
Omicidi, racket e usura non sono bastati a far passare il 416 bis.
I timori di un effetto della decisione dei giudici sul processo a Buzzi e Carminati
E dopo il verdetto insulti in aula alla cronista di “Repubblica”
di Attilio Bolzoni
LA
mafia ad Ostia non c’è e non c’è mai stata. Nemmeno per sbaglio. Perché
se non sono mafiosi i Fasciani, nessun altro può essere considerato
mafioso ad Ostia. Ma proprio nessuno. Non possono essere additati come
mafiosi gli Spada, tribù sprovvista di quarti di nobiltà criminale. Non
possono essere bollati come mafiosi neanche i Triassi, parenti stretti
di quella premiata ditta “Caruana & Cuntrera” di origine
siciliana — il loro paese, Siculiana, era una Wall Street della droga —
sul cui regno «non tramontava mai il sole ». È ovvio e lampante: i
giudici della seconda sezione della Corte di Appello di Roma stanno
assicurando a tutti noi che la mafia ad Ostia non esiste.
Non sono
scorribande di mafia quella quarantina di attentati, gambizzazioni,
atti incendiari ai chioschi e danneggiamenti agli stabilimenti balneari
consumati negli ultimi due anni intorno allo spettrale «lungomuro» e
davanti a un mare che non si vede più. Non sono delitti di mafia gli
omicidi fra cosche, ma volgari regolamenti di conti fra bande di
briganti rivali. Non sono mafiosi gli emissari del racket del pizzo e
neanche quelli dell’usura. Semplici manutengoli, metà favoreggiatori e
metà magnaccia.
Nulla è riportabile alla mafia nella Ostia che a
noi ricorda invece un po’ il quartiere palermitano di Brancaccio e un
po’ Casal di Principe, controllo esasperato del territorio, vincolo
associativo e forza intimidatrice. Neanche il suo «Municipio», la
famigerata decima circoscrizione, con i suoi 300 mila abitanti il
«comune » sciolto per mafia più grande d’Italia (il record apparteneva
prima a Reggio Calabria, 180 mila residenti) che è andato a casa al
completo per le infiltrazioni del crimine. Tutti fraintendimenti,
malintesi. Causati da anni di indagini costruite sul nulla, sulle
suggestioni o — peggio — su «teoremi». Inchieste gonfiate con quel 416
bis per dare dignità criminale a «malfattori» come quel Carmine
Fasciani, che nella sua Ostia però pretende che tutti lo chiamino «don»
Carmine come si fa con i Padrini.
È vero che le sentenze si
rispettano ed è vero che si possono correttamente interpretare soltanto
dopo averne letto le motivazioni, ma è altrettanto vero che questo
verdetto porta inevitabilmente con sé una carica distruttiva contro
l’impianto accusatorio che è difficile da comprendere sino in fondo.
Anche perché, appena quattro giorni fa — il 9 giugno — la Cassazione
aveva confermato le condanne con l’aggravante mafiosa a quattro imputati
dello stesso clan Fasciani che avevano scelto il rito abbreviato,
riconoscendo di fatto l’esistenza di un’associazione criminale con tutte
le caratteristiche della mafia. Come si dice in Sicilia e in molte
altre località del nostro Meridione «ogni testa è tribunale», ogni
giudice decide secondo coscienza, ma è evidente il netto contrasto sulla
vicenda fra la Suprema Corte e la seconda corte di appello di Roma.
La
sentenza di ieri però potrebbe avere anche un altro «valore », un
significato che punta dritto a Mafia Capitale. E non solo perché se la
mafia non c’è ad Ostia secondo alcuni orientamenti potrebbe diventare
più complicato rintracciarla a Roma, ma anche perché il collegio
giudicante che ha condannato in primo grado i Fasciani come mafiosi è lo
stesso che presiede il processo contro Buzzi e Carminati.
Vedremo
che peso — e se l’avrà, non è detto — il pronunciamento della seconda
corte di appello di Roma, ma intanto qualche riga la vogliamo dedicare
all’ultima carica dell’imputato Vincenzo Triassi («Scrivila la verità,
giornalara») contro la giornalista di Repubblica Federica Angeli. Lei ha
già subito minacce, come già obiettivo di insulti è stato Lirio Abbate
dell’Espresso. Sono due colleghi che ricevono «attenzioni» per il solo
fatto di scrivere quello che vedono e quello che sentono, senza mai
cedere alla tentazione di «pompare » avvenimenti e personaggi. Forse è
arrivato il momento di mettere un punto a quest’ossessione di
prendersela sempre con gli stessi cronisti, è inutile intimidire,
provocare o sfidare. Tanto la Angeli e Lirio Abbate non saranno mai i
soli a raccontare Ostia o Mafia Capitale, tutti continueremo a scrivere.
Rispettando tutti ma senza trascurare niente.