martedì 14 giugno 2016

Repubblica 14.6.16
Il verdetto delle grandi città avrà contraccolpi all’interno del Pd
Renzi e la verità che si nasconde dietro lo scenario del “voto locale”
A Milano il test sulla capacità del premier di attirare l’area moderata Se dovesse prevalere Parisi l’intero progetto del premier scricchiolerà
di Stefano Folli

FORSE è necessario decidere: le elezioni comunali sono un avvenimento locale oppure hanno un valore nazionale? Non possono essere l’una cosa o l’altra a giorni alterni. Il premier Renzi ha più volte ripetuto che si tratta di un voto locale, ostentando quindi un apparente distacco. Ma ecco che Maria Elena Boschi, uno dei ministri più noti della compagine, ha lasciato intendere tutt’altro. E lo ha fatto con una frase poco felice, anche se probabilmente le interpretazioni sono andate al di là di quello che la stessa Boschi intendeva dire.
È sembrato che il governo volesse legare l’erogazione di un certo finanziamento per la città di Torino all’ipotesi che il sindaco Fassino fosse confermato nella carica. Poi si è capito che si trattava in realtà della realizzazione di un progetto, il Parco della Salute, messo in forse all’inizio dalla candidata Cinque Stelle, Chiara Appendino. Un incidente di non grande rilievo che tuttavia, nei giorni concitati della campagna elettorale, suscita polemiche a non finire. Di sicuro Fassino, che pure vanta circa undici punti di vantaggio sulla rivale, farebbe volentieri a meno di questi “aiuti” da parte del governo di Roma. Anche perché si tratta di interventi ambigui, un modo di tirare il sassolino e subito ritirare la mano.
Sono soprattutto indice di un certo nervosismo nel governo, il che contraddice la tesi che il test “locale” sia del tutto ininfluente sullo stato d’animo del presidente del Consiglio, proteso al solo risultato che gli preme: il “sì” nel referendum costituzionale di ottobre. Come sempre in politica è difficile separare in modo netto e perentorio il vero dal falso. È chiaro che il voto a Roma, Milano, Torino, Bologna, Napoli non avrà effetti sulla stabilità dell’esecutivo né sul destino a medio termine della maggioranza Pd-centristi. Tuttavia, se l’esito non fosse favorevole a Renzi o almeno non si traducesse in un sostanziale pareggio, avremo dei contraccolpi all’interno del Partito Democratico. La sinistra bersaniana, più volte sconfitta e persino mortificata negli ultimi mesi, ritroverà un margine di manovra e senza dubbio non vi rinuncerà.
C’è un punto in particolare che contraddice lo scenario consolatorio del “voto locale”. Riguarda Milano, dove lo stesso Renzi ha concentrato la sua attenzione. La vittoria o la sconfitta di Sala hanno a che vedere non tanto con il destino del governo - fuori discussione - quanto con l’impianto del progetto renziano. Il nodo riguarda infatti la capacità del Pd di attrarre voti dal centrodestra berlusconiano. L’intera costruzione politica che si definisce “renzismo” poggia sul presupposto che il nuovo partito di Renzi - come più volte descritto da Ilvo Diamanti - riesca a rompere gli argini verso il centro e la destra moderata, isolando i massimalisti populisti alla Salvini. Sull’altro fronte la sinistra sarebbe ridotta a un’innocua corrente minoritaria, salvo i mini-scissionisti che si condannano da sé all’irrilevanza.
È un’operazione che finora non ha dato frutti apprezzabili, salvo nelle elezioni europee (quelle del 41%). Si dirà che sono mancate altre occasioni per verificare il paradigma in modo convincente, ma in realtà le elezioni regionali dell’anno scorso qualche indicazione l’hanno data e non favorevole a Renzi. Ora il voto a Milano rappresenta l’opportunità di dare forma al “partito riformista trasversale” di cui Sala è l’espressione. La piazza è ideale, abituata com’è al ruolo di laboratorio politico. L’elettorato è in apparenza il più idoneo ad assorbire il messaggio di Renzi attraverso il filtro del candidato sindaco. Inoltre la malattia di Berlusconi, che sta suscitando un sentimento vasto di simpatia e di solidarietà umana verso il leader di Forza Italia, sancisce di fatto un cambio di stagione. Proprio a Milano Renzi ha l’occasione di consolidare il suo profilo di erede politico di una tradizione moderata. Se non ci riuscirà, ossia se dovesse prevalere Parisi, sarà l’intero progetto a scricchiolare. Non un buon viatico in vista di ottobre.