Repubblica 13.6.16
Guerra civile in America
di Vittorio Zucconi
PER
RITROVARE una strage come il massacro di Orlando per quantità di vite
falciate e per la natura scientifica dell’azione omicida, si devono
saltare 150 anni e tornare ai “killing fields” della Guerra di
Secessione o al massacro dei 168 innocenti nel palazzo del governo a
Oklahoma City nel 1995. Il filo spaventoso che lega questi eventi tanto
lontani e apparentemente diversi è in realtà lo stesso: è l’odio che
diventa rifiuto, che diventa guerra contro coloro che sono, per
religione, interessi, valori, cultura, razza, ideologia, faccia,
“diversi”.
Se guardiamo da vicino gli attacchi del terrorismo che
chiamiamo islamico, dopo l’orrore ineffabile dell’11 settembre 2001, le
azioni successive — in Usa come altrove — hanno tutte come protagonisti
non “alieni” piovuti da una lontana galassia, un tempo chiama al-Qaeda,
poi Stato Islamico (Is) o Daesh. Sono il maggiore della Us Army Nidal
Hasan che uccise tredici commilitoni nella base di Fort Hood, i fratelli
Tsarnaev che bombardarono la americanissima Maratona di Boston, i
coniugi Syed Rizwan Farook e Tashfeen Malik che insanguinarono San
Bernardino e ieri Omar Mateen, che ha svuotato un arsenale contro gli
ospiti del Pulse di Orlando, una delle più celebri “Cage aux Folles”, di
locali preferiti dalla comunità Lgbt.
Tutti questi macellai, si
noti, hanno fra loro due cose in comune: sono tutti cittadini americani a
pieno titolo, non “illegali”, “clandestini”, “profughi”, nati cresciuti
e marinati nel calderone della cultura americana. E gli obiettivi sono
tutti luoghi altamente simbolici di come sta evolvendo questa cultura,
fra strappi, resistenze e rancori: l’Esercito, i Centri Pubblici e Laici
di assistenza, le feste della tradizione patriottica come a Boston, la
sempre più diffusa accettazione e dunque normalizzazione della
sessualità e dell’amore in tutte le sue manifestazioni.
È dunque
una guerra civile, quella che una generazione di nuovi americani con
nomi non più anglo, vuole condurre contro il Male che essi,
fondamentalisti fanatici o ideologici, dal wahabismo al fascismo, vedono
crescere e impadronirsi di un’America pagana e materialista che li
manda in bestia, come 150 anni or sono i giovani del Sud distrussero le
proprie vite per fermare l’orrore di una nazione che voleva accettare
l’inaccettabile, gli schiavi, le bestie da lavoro, come cittadini. E ora
vorrebbe riconoscere pari dignità a omosessuali, trans, lesbiche,
demolitori di famiglie e di timor di Dio.
Per questo, la guerra al
terrorismo interno, che si nasconde e insieme si manifesta sotto
bandiere lontane e per questo s’illude di darsi una dignità storica e
mistica, sarà lunga e difficilissima da combattere, perché non è una
guerra di cannoni e droni fra noi e loro, ma di valori, come fu la
Guerra di Secessione del 1860, nella quale si combatté in perfetta buona
fede per difendere la libertà immaginaria, la più difficile a cui
rinunciare e soprattutto la propria identità di gruppo o di clan.
I
criminali di Columbine o di Aurora nel Colorado e la falciatura di gay e
lesbiche nel “Pulse” di Orlando nel nome del Profeta — la stessa città
dove ieri l’altro fu spenta l’innocua vocetta di una piccola stella del
pop da talent show — sono azioni di retroguardia, cruente e
pericolosissime, ma di retroguardia, condotte con il volto girato verso
un passato che non può mai più tornare, ma che i cultori neonazi
dell’America Bianca e i nuovi americani missionari della purificazione
morale a colpi di Corano calibro nove continueranno a combattere. È la
nuova Mein Kampf 2.0.
Trovano ora per la prima volta anche nei
grandi imbonitori della politica ufficiale voci che li incoraggiano a
condurre la nuova guerra civile e massacrare, per ora simbolicamente, i
nemici, quali che essi siano, di volta in volta. Per rifare l’America
Grande per gli obitori e i muri e le Glock calibro 9 per tutti, come
vuole Donald Trump.