Repubblica 12.6.16
Il convegno.
“Crescono sani e imparano di più” ecco perché il nido fa bene ai nostri figli
“Esiste un legame positivo tra frequenza e sviluppo cognitivo del bambino”
Presentato
lo studio della Fondazione Debenedetti. Ma in Italia solo il 13% dei
piccoli trova posto nelle strutture per l’infanzia
di Antonio Fraschilla
SIRACUSA.
L’asilo nido come leva fondamentale per migliorare le capacità
cognitive dei bambini, soprattutto per chi nasce in famiglie disagiate.
Il nido come aiuto alle donne per rimanere nel mercato del lavoro. Ma,
purtroppo, in Italia in media solo il 13 per cento dei bambini fino a
due anni trova accoglienza in una struttura per l’infanzia e in alcune
regioni, in particolare al Sud, questa percentuale diminuisce ancora.
Una grande occasione mancata di sviluppo ed eguaglianza sociale. È
questo il cuore degli studi presentati a Siracusa nella diciottesima
conferenza europea della Fondazione Rodolfo Debenedetti, quest’anno
dedicata alle politiche di assistenza all’infanzia, alla quale hanno
partecipato diversi docenti e professionisti italiani e stranieri.
«Devono
esserci delle politiche che sviluppino degli asili nido di alta
qualità», dice Daniela Del Boca, docente dell’Università di Torino e
coordinatrice del gruppo di lavoro che ha presentato lo studio sulle
politiche dell’infanzia negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Italia.
Una
ricerca dalla quale emerge con chiarezza come «le diverse modalità di
accudimento dei bambini in età pre-scolare abbiano un effetto sulle loro
capacità cognitive ». Lo studio dimostra che «esiste un legame positivo
tra frequenza al nido e sviluppo cognitivo del bambino, soprattutto per
le famiglie dal background svantaggiato».
Per valutare lo
sviluppo cognitivo sono stati utilizzati i risultati dei test Invalsi
dei bambini iscritti al secondo e quarto anno della scuola primaria e al
primo anno della scuola secondaria inferiore. Ed è emerso che «una
maggiore disponibilità di posti nido a livello provinciale è associata a
migliori risultati nei test che valutano le capacità linguistiche ».
Nel Regno Unito, invece, si è notato che «i bambini curati dai genitori e
dai nonni sono più abili nell’imparare il nome degli oggetti, ma hanno
peggiori risultati in test che valutano il grado di sviluppo di concetti
base e la capacità di risolvere problemi». In ogni caso «le
disuguaglianze nello sviluppo cognitivo dei bambini tendono a ridursi
con l’ampliarsi del numero di bambini frequentanti il nido ».
Ma
anche la qualità degli asili nido ha un ruolo importante. Il secondo
studio presentato nell’ambito della conferenza, coordinato da Andrea
Ichino, docente della European University Institute, ha valutato «gli
effetti dell’asilo nido sulle capacità cognitive e non dei bambini». La
ricerca dimostra che la frequenza del nido «ha effetti negativi sul
quoziente intellettivo dei bambini nel medio termine e il risultato è
più forte per le bambine, soprattutto per le famiglie benestanti». «Una
possibile interpretazione è che i bambini che frequentano il nido
beneficiano di minori interazioni uno a uno con adulti — spiega la
ricerca — interazioni che sono particolarmente rilevanti per lo sviluppo
cognitivo nei primi anni di vita». Quindi asili nido con un rapporto
minore tra bambini e adulti consentono un migliore sviluppo cognitivo.
Dallo studio emerge anche che «la frequenza al nido genera vantaggi in
termini di salute, riducendo la probabilità di essere sovrappeso tra gli
8 e i 14 anni».
A fronte di queste ricerche che sottolineano
l’importanza per un Paese di avere nidi di qualità, la situazione in
Italia è pessima. «La Fondazione Debenedetti ha sempre cercato, nei suoi
18 anni di attività, di concentrare l’attenzione del dibattito pubblico
e accademico su temi rilevanti dal punto di vista sociale ed economico —
ha detto il presidente della Fondazione, Carlo De Benedetti,
introducendo i lavori — mai come quest’anno il tema scelto è adatto a
guardare il futuro. Si dice che l’Italia non sia un paese per giovani. I
dati sulla disponibilità di posti nido sembrano confermare in pieno
questa percezione e il ritardo italiano in questo campo nuoce alle
famiglie e nuoce all’offerta di lavoro femminile».
Non a caso le
mamme di almeno un bambino tra 0 e 14 anni che lavorano sono oltre l’80
per cento in Danimarca e poco più del 50 per cento in Italia.