Repubblica 12.6.16
Se ritorna la parola “socialismo”
di Franco Marcoaldi
In
libreria l’occhio subito cade sul titolo: L’idea di socialismo. Un
sogno necessario (Feltrinelli). Suscita curiosità e desta simpatia
l’audacia di chi tira fuori dal cilindro un termine tanto desueto,
impolverato. E prova a dargli una nuova veste, rammentando alla sinistra
che da che mondo è mondo la sua costitutiva ragion d’essere è quella di
combattere per una società più decente e meno ingiusta. L’autore del
saggio, oltretutto, non è l’ultimo venuto: parliamo del tedesco Axel
Honneth, direttore del glorioso Istituto per la ricerca sociale di
Francoforte. Il quale prende le mosse da una domanda quanto mai
stringente: perché, crescendo ovunque e in modo esponenziale ogni forma
di ingiustizia, non sorgono più come in passato forze strutturate
protese a immaginare scenari politici ulteriori, diversi? Di qui la
necessità di delineare una proposta che, a partire dai radicali
mutamenti in atto, punti le sue fiches sul principio base di “libertà
sociale”, teso a rinsaldare in ogni ambito azioni solidali e condivise.
Durante la lettura, lo confesso, ogni tanto mi sono perso un po’ per
strada, forse perché andavo colpevolmente in cerca di immagini semplici,
scolpite, mentre invece la realtà è maledettamente complicata. Poi,
all’improvviso, ecco la schiarita. Più precisamente, quando Honneth
specifica che il sogno di socialismo da lui rivisitato si affida a una
idea di società in cui «la libertà individuale prosperi non a dispetto,
ma piuttosto grazie alla solidarietà». Giusto, giustissimo. E fa niente
se questo lo aveva intuito già Spinoza, affidandosi a una magica
paroletta: “interesse”. Per superare le angustie di un egoismo torvo e
dilagante, basta tagliare quel vocabolo a metà — inter-esse — e subito
si capisce che il mio bene sarà tanto più grande quanto più tutti,
intorno a me, staranno meglio.