Repubblica 12.6.16
Il saggio
Italiani brava gente spietati nei Balcani
Federico
Goddi ricostruisce la vera storia dell’occupazione fascista in
Montenegro dal 1941 e al 1943. Tra internamenti e rappresaglie a danno
dei civili
di Simonetta Fiori
I cattivi sono
sempre gli altri. Così ce la siamo raccontata per svariati decenni a
proposito dell’occupazione italiana nel Montenegro. Due anni di assedio,
repressione e rappresaglie contro i civili tra l’estate del 1941 e il
settembre del 1943. Pagine della storia italiana a lungo rimosse,
scivolate sotto i più facili pregiudizi contro i Balcani “terra di
violenza”, perché altrimenti come giustificare i crimini commessi dai
civilissimi popoli occidentali? A rompere un protratto silenzio, nel
corso degli anni, sono state le ricerche tra gli altri di Enzo Collotti e
di Davide Rodogno. E ora un documentato saggio di Federico Goddi
disegna il tassello mancante, che s’è poi rivelato il cardine
dell’intero progetto fascista nei Balcani. Perché proprio in quel
piccolo lembo di terra incastonato tra Serbia, Albania e Croazia il
regime mise a punto agguerrite strategie repressive che anticipano d’un
anno la famigerata circolare 3 C, comunemente considerata l’atto di
inizio della politica della terra bruciata.
Grazie a uno
sterminato materiale inedito, rinvenuto negli archivi di tre paesi
diversi – Italia, Serbia e Montenegro – Goddi ricostruisce un articolato
sistema di campi di concentramento in cui gli occupanti chiusero i
civili montenegrini solo sospettati o comunque “indesiderabili perché
filo serbi o comunisti”. Una politica d’internamento mirata soprattutto
ai parenti prossimi dei ribelli, anche donne e bambini ritenuti
colpevoli solo per ragioni di sangue, puniti con la fame e con la sete.
«I civili arrestati costituivano una riserva umana per le rappresaglie
», racconta Goddi. A un attentato partigiano, le forze armate
rispondevano con l’immediata fucilazione dei civili internati.
La
recrudescenza della violenza fu dovuta anche alla particolare natura
della guerriglia partigiana, temibile per velocità e strategia,
«attacchi brevi ma violenti, combinati sincronicamente, così da chiudere
in una tenaglia psicologica un nemico in preda al panico». La reazione
non si fece attendere. Già nell’agosto del 1941 i provvedimenti militari
ordinano rastrellamenti di civili, case incendiate e fucilazioni in
caso di mancata collaborazione. Nella repressione si distinsero in
particolare due formazioni militari, la Pusteria e la Venezia, i cui
generali s’erano formati nelle imprese coloniali d’Africa. Una tragedia
umana che lascia ferite profonde nei nostri soldati: dopo l’8 settembre
diverse migliaia tra loro sarebbero confluiti nelle file della
resistenza jugoslava.
Il lavoro di Goddi è interessante anche
perché per la prima volta offre un’analisi sociale dell’ambizioso
progetto di Mussolini. L’unico capace di registrarne l’improponibile
disegno fu l’emissario della Banca d’Italia le cui note preannunciano la
disfatta.
FRONTE MONTENEGRO di Federico Goddi LEG, PAGG. 308, EURO 26