Repubblica 12.6.16
Reportage da Buenos Aires
Le nostre figlie desaparecidas
Le nuove madri di Plaza de Mayo
Oggi come ieri cercano le loro figlie desaparecidas
In
Argentina ogni anno mille ragazze vengono rapite e costrette a
prostituirsi Alcune di loro riescono a fuggire e tornare a casa. Qui
raccontano l’orrore
di Omero Ciai
BUENOS AIRES
L’INIZIO È SOLTANTO un post-it colorato, dall’aspetto innocuo, con il
disegno di Betty Boop, l’eroina dei cartoon sexy degli anni Trenta, un
indirizzo e un numero di telefono. Un’immagine che riempie le pareti dei
muri lungo le vie del microcentro di Buenos Aires, l’area pedonale
della capitale argentina più frequentata dai turisti, tra librerie e
negozi alla moda. È la pubblicità dei bordelli, ufficialmente illegali,
in realtà molto diffusi in tutto il Paese. Soltanto a Buenos Aires, fra i
locali vip di Corrientes o Santa Fe e i miserabili postriboli
dell’immensa periferia, ce ne sarebbero oltre un migliaio. E sono,
insieme allo spaccio di droga, uno dei grandi affari della criminalità
locale. L’altra immagine, apparentemente lontana, sono i cartelli con le
foto segnaletiche delle ragazze scomparse. Nei negozi, nelle stazioni,
negli aeroporti. Un nome, l’età, l’ultimo luogo in cui l’adolescente in
foto è stata vista. Un telefono di contatto. Si confondono con le
indicazioni stradali, i manifesti pubblicitari, le insegne, come un urlo
di orrore che si perde nei rumori della metropoli. L’ultima ragazza
hanno provato a rapirla l’altra sera. Usciva dall’università, dopo un
corso serale alla facoltà di medicina, in piazza Houssay, a Recoleta, il
quartiere più borghese di Buenos Aires. Due uomini e un coltello
appoggiato dietro la schiena. Si è salvata grazie a un passante
coraggioso che si è avvicinato a chiedere cosa stesse accadendo.
«QUELLO
DELLE CASE CHIUSE », spiega Margarita, «è un affare milionario nel
quale sono coinvolti tutti. Poliziotti, politici, giudici, funzionari
statali. Dividono gli incassi con le bande dei narcos. L’ipocrisia
maschile fa dire loro, e persino credere, che le ragazze si
prostituiscono per loro scelta. Invece nei bordelli sono tutte
prigioniere. Tutte, nessuna esclusa. Sono schiave. Sono state
sequestrate o ingannate. Le picchiano, le drogano e le minacciano per
evitare che scappino». Margarita ha sessantasei anni. Ha perso una
figlia, Susi. L’ha cercata per anni dopo che era scomparsa finché non
l’ha ritrovata morta. L’hanno assassinata dopo averla trasferita da un
locale a un altro per tutto il Paese. A Costitución, uno dei quartieri
degradati di Buenos Aires, Margarita ha costruito una mensa per i
poveri. La manda avanti grazie a qualche contributo pubblico e a molti
contributi privati. Ma, nella sua battaglia contro la “Tratta” delle
ragazze che alimenta il mercato della prostituzione, ha fondato una
associazione di Madri che ricorda da vicino un’altra agghiacciante
tragedia dell’Argentina, i trentamila desaparecidos della dittatura
militare. Le ribelli di Margarita, che sfidano la catena di silenzi e
complicità, sono le nuove Madri di Plaza de Mayo. Si riuniscono per
sfilare, il terzo venerdì di ogni mese, sulla famosa piazza di Buenos
Aires, davanti al palazzo presidenziale della Casa Rosada, con le foto
delle loro figlie scomparse appese sul petto. Come Hebe de Bonafini e
Estela Carlotto fecero quarant’anni fa.
Quello della trata è un
business che nel ranking della criminalità è secondo soltanto al
traffico della droga e delle armi secondo l’Organizzazione mondiale per
le migrazioni (Oim), che nei suoi dossier conferma anche quanto
denunciato dalle Madres: “Vi sono implicati in forma ricorrente
funzionari pubblici e politici...”. Ogni anno scompaiono quasi mille
ragazze, forse di più. Spes- so sono minorenni e non tutte diventano
desaparecidas nello stesso modo. Alcune vengono rapite, altre,
all’inizio, semplicemente ingannate. Altre ancora vengono vendute ai
trafficanti da un familiare o da un’amica. O finiscono nel giro perché
comprano droga. Molte sono povere, alcune sono ragazze-madri. Sonia e
Fabiola vengono dal vicino Paraguay. A Sonia, che oggi ha trentanove
anni, le promisero un lavoro artistico a Buenos Aires quando faceva la
cameriera in un bar. Attraversò la frontiera senza documenti ma nessuno
la fermò perché avevano corrotto i doganieri. La sfruttarono per dodici
anni, quattordici clienti al giorno. Fabiola venne invece venduta dal
fratello, le fece credere che avrebbe lavorato in Argentina come baby
sitter.
Le connessioni della rete sono internazionali. Ci sono
ragazze vendute ai narcos messicani. In Perù, in Spagna. Margarita dice
che un locale o un appartamento con sei o sette ragazze può fruttare
fino a centomila euro di incassi al mese. Di più se le giovani sono
minorenni. Denaro che crea un network di connivenze e complicità.
Dall’agente di polizia del quartiere ai politici locali che con le
mazzette della prostituzione finanziano perfino le campagne elettorali.
«Quando scomparve mia figlia Susi», racconta Margarita, «io ero una
militante peronista. Iniziai a cercarla e mi accorsi che dirigenti
politici comunali che conoscevo erano complici della Tratta: prendevano
denaro in cambio di permessi che firmavano per l’apertura di locali. Mia
figlia fu costretta a prostituirsi anche in un nigth club, si chiamava
“Shampoo”, poi venne chiuso per le denunce di alcune ragazze. Il
proprietario, Gabriel Conde, è latitante in Messico, a Cancun. È figlio
di Luis Conde, un vicepresidente della squadra di calcio Boca Juniores,
morto qualche anno fa. Politica, pallone, servizi di sicurezza, tutti
hanno affari nella Tratta e sono favoreggiatori dei criminali».
Il
gioiello dell’Associazione delle Madri è “ l’equipo de rescate”, un
gruppo di familiari delle vittime, tutti uomini, che assaltano i
bordelli per liberare le ragazze quando qualcuna di loro riesce a
comunicare l’indirizzo e chiede aiuto. «Quando una ragazza viene
sequestrata è essenziale agire il più presto possibile », sottolinea
Margarita, «perché iniziano subito a drogarle, e diventano
tossicodipedenti, oppure le trasferiscono in altre città ». È successo
poco tempo fa alla figlia di una famiglia benestante della capitale. Lei
voleva comprare droga e la ragazza che gliela vendeva l’ha portata in
una “ villa miseria”, una baraccopoli del Gran Buenos Aires, la
provincia. L’ha consegnata a un gruppo di narcos. Amici e familiari,
insieme al grupo de rescate di Margarita sono entrati armati nella
baraccopoli e sono riusciti a liberarla. «Se aspettavamo la polizia, non
l’avremmo ritrovata più». Aveva il corpo pieno di piccole bruciature
rotonde. È la tortura tipica dei narcos, che per domare le ragazze
rapite gli spengono le sigarette sulla pelle. Ma non va sempre così. Una
storia emblematica è quella di Nora. A diciassette anni scappò di casa.
Sua madre riuscì a rintracciarla dopo qualche tempo in un postribolo
nella zona di Tucuman, nel nord del Paese. Era prigioniera e l’aiutò a
fuggire. Ma ormai era diventata tossicodipendente, tossica di Paco, la
“droga dei poveri” in America Latina, uno scarto della lavorazione della
cocaina che si fuma e produce assuefazione in pochissimo tempo. Dopo
qualche giorno a casa di sua madre si presentò un sedicente «fidanzato»
di Nora, accompagnato da un agente di polizia. Convinsero Nora a
testimoniare davanti a un giudice contro la madre e se la portarono via.
Schiava loro e della droga. Per questo le Madri oggi chiedono allo
Stato assistenza medica e pedagogica gratuita per le figlie ritrovate, e
una casa dove possano proteggerle mentre escono dall’inferno.
Un
caso che ha commosso l’Argentina fu quello di Marita Veron, desaparecida
a ventitré anni un pomeriggio di aprile del 2002. Dopo anni di
battaglie, sua madre, Susana Trimarco, riuscì a portare sul banco degli
imputati i suoi sequestratori. Al processo, alla fine del 2012,
nonostante le molte testimonianze, furono tutti assolti. Susana denunciò
che i giudici erano stati corrotti dai rapitori di Marita e l’onda di
sdegno che attraversò il Paese convinse, qualche mese più tardi, la
Corte Suprema a rivedere la sentenza, condannando la maggior parte degli
imputati. Susana non ha mai ritrovato Marita e oggi dirige una
Fondazione, “Maria de los angeles”, che combatte in Argentina la piaga
sociale della Tratta.
Allo Stato le Madri chiedono che il
sequestro delle ragazze legato allo sfruttamento della prostituzione
diventi un reato di lesa umanità, affinché non sia mai possibile
archiviarlo. E chiedono l’istituzione di una Banca di impronte digitali e
del Dna, come per i
desaparecidos della dittatura militare. «Non
solo le adolescenti che fuggono dalle case chiuse», aggiunge Margarita,
«e rischiano la morte perché possono denunciare i loro carcerieri e i
loro clienti. Anche le altre ragazze, quando invecchiano e non servono
più, possono essere assassinate. A Buenos Aires le buttano in fondo ai
pozzi per l’acqua in una zona periferica, a Temperly. Spesso quando si
ritrovano i corpi vengono seppelliti come quelli di persone senza
identità perché nessuno apre l’inchiesta».
Oggi in Argentina sono scomparse altre due ragazze. Altre due scompariranno domani.