sabato 11 giugno 2016

Repubblica 11.6.16
“Sgomento per i silenzi di Cambridge su Giulio vogliono nascondere le loro responsabilità”
Parla Federico Varese, docente di Oxford: “Non hanno intuito i rischi di quella ricerca e così non hanno sottratto un loro dottorando al suo destino”
intervista di Carlo Bonini

ROMA. Dopo l’omicidio di Giulio Regeni, in splendida solitudine, Federico Varese, criminologo e professore alla Oxford University, aveva avuto il coraggio di scuotere l’Accademia e le sue consuetudini felpate, accusando l’università di Cambridge, di cui Giulio era dottorando, di non aver saputo o voluto intuire il rischio della “ricerca partecipata” in un Paese come l’Egitto. Di aver in qualche modo abdicato alla sua responsabilità. Ora, dopo il rifiuto dei professori di quella stessa università di collaborare con l’inchiesta della Procura di Roma, quella provocazione civile, si fa indignazione. «Sono sgomento », dice.
Sgomento?
«Non saprei trovare un altro aggettivo di fronte allo shock per quello che ho visto e ascoltato. Dopo la morte di Giulio ero convinto di aver detto alcune scomode verità sulla responsabilità morale che in quella morte ha avuto Cambridge. Ma non pensavo di aver ragione più di quanto volessi averne. Come è possibile che di fronte alle parole di una madre che dice “Vi ho affidato mio figlio con sacrificio e con fiducia” si risponda con il silenzio? Come può stare insieme la richiesta formale avanzata da Cambridge al Governo Britannico e l’appello firmato anche dal sottoscritto e da migliaia di professori e ricercatori che chiedeva un’indagine accurata e indipendente sulle cause della morte di Giulio con la decisione di non collaborare con la Procura di Roma, riservandosi di decidere se e come consegnare atti utili all’indagine?» .
Lo chiedo io a lei che in un’università inglese lavora. Come si spiega?
«Il non rispondere genera sospetti. Ma io, per convinzione e metodo, mi tengo sempre molto lontano dal sospetto, perché è una categoria del pensiero che non avvicina mai alla verità. E dunque propendo per la risposta insieme più semplice e, a ben vedere, drammatica» .
Quale?
«Che il silenzio sia una scelta fatta dai legali che tutelano gli interessi dell’Università. E per loro la priorità è una sola: mettere al riparo Cambridge da possibili richieste di risarcimento danni per eventuali responsabilità nella mancata tutela della sicurezza del ragazzo. Ma questo, come dicevo, è persino peggio».
Perché?
«Perché di fronte a una tragedia come quella di Giulio Regeni non si possono delegare a degli avvocati decisioni che interpellano questioni cruciali che hanno a che fare con i diritti fondamentali. Perché questo, per un’università, significa delegare la propria autorità morale. E una volta fatto questo passo quell’autorità non può più essere invocata di fronte a nessuno. A quale titolo Cambridge potrà spendersi su questioni che interpellano il rispetto dei diritti umani se rifiuta di collaborare con la magistratura italiana in un caso di palese violazione di quei diritti? Per giunta di un proprio dottorando».
Cambridge si difende sostenendo che non vede a quale titolo debba rispondere di cose che esulano dalla sua sfera di responsabilità.
«È proprio questo il punto. Qui non si discute di responsabilità giuridica, penale o civile. Ma morale. E quella ha più padri. È evidente che i responsabili giuridici dell’omicidio di Giulio sono i suoi assassini materiali e i loro mandanti. Ma è pur vero che una parte di responsabilità morale la porta anche l’università che non è riuscita a sottrarre quel ragazzo al suo destino non intuendo che una “ricerca partecipata” aumenta il rischio. Perché il ricercatore entra a far parte della comunità che indaga. Con tutto quello che ne consegue. Anziché difendersi con il silenzio, Cambridge potrebbe lavorare a una riforma di questo tipo di ricerche sociali sul campo. Magari, come accade per le ricerche scientifiche, affiancando al dottorando un secondo tutor responsabile esclusivamente per gli aspetti connessi alla sicurezza ».
Può essere che in fondo l’Accademia è simile a tutte le latitudini?
«Temo di doverle dare ragione. Forse continuiamo tutti a dare troppo peso agli intellettuali, dimenticandoci che, dopo tutto, le università sono fatte di uomini, donne, burocrati, che, se in difficoltà, lottano per la propria sopravvivenza, anche abdicando alle ragioni della loro missione. Del resto, negli anni del ventennio fascista, quanti furono i professori delle nostre università che si rifiutarono di prestare giuramento al Regime? Pochi. Pochissimi ».
Non pensa che sulla decisione di Cambridge abbia pesato anche l’assoluto disinteresse mostrato dal governo inglese alla vicenda Regeni?
«Sicuramente il silenzio del governo inglese non ha contribuito a creare un clima di coraggio. Giulio, nonostante fosse un figlio adottivo dell’Inghilterra, continua ad essere considerato da Downing Street un semplice cittadino italiano morto in circostanze violente in un Paese terzo. E la cosa fa più impressione se pensiamo che Giulio era l’immagine del giovane cittadino dell’Europa. Dico di più. Fa ancora più impressione se pensiamo che Cameron sta provando a convincere il Paese a non staccarsi dall’Europa».