venerdì 10 giugno 2016

Repubblica 10.6.10
Gioia Tauro
“Sakine ucciso come un cane, qui non è vita”
di Giuseppe Baldessarro

Rosarno «Vogliamo giustizia e verità». La rabbia dei migranti della tendopoli ha il volto di un ragazzo alto e magro come un chiodo. Si chiama Mamadou, ed è del Mali, come maliano era pure suo cugino Sakine Traore, ucciso mercoledì mattina dal colpo di pistola di un carabiniere che aveva appena accoltellato. È successo tutto in pochi istanti. La rissa tra migranti, Sakine agitatissimo e forse ubriaco, l’intervento delle forze dell’ordine e la reazione violenta del ragazzo di 27 anni. Il taglio sulla faccia del militare, la confusione e quel colpo di pistola a bruciapelo in una tenda attrezzata a piccolo spaccio alimentare. Unici testimoni due poliziotti e quattro carabinieri. Per la Procura di Palmi si tratta di «legittima difesa». Ma loro, i migranti, non riescono a farsene una ragione. «In sei non sono riusciti a bloccarlo, forse si poteva evitare. Invece è morto come un animale».
Il volto scavato dalla fatica dei campi di Mamadou è identico a quello di tanti altri fantasmi che popolano la landa desolata di tende e baracche costruita nell’area industriale di San Ferdinando, alle porte di Rosarno. Sono gli ultimi, gli ultimi degli ultimi. Il grosso dei “neri” che in inverno raccolgono mandarini e arance è già partito per Puglia e Campania dove è iniziata la stagione dei pomodori. Nella Piana di Gioia Tauro ci sono restati solo quelli senza documenti e senza soldi, quelli che come dicono da queste parti «non hanno più neppure gli occhi per piangere». Lavorano in pochi negli orti di San Ferdinando, Rizziconi e Gioia Tauro, gli altri vivono di stenti tra l’immondizia della tendopoli. Qualcuno si è inventato un piccolo commercio di scatolette e zucchero, c’è persino chi vende le sigarette sfuse come in tempo di guerra. Chi può scappa da questo nulla per rincorrere altri nulla. Ieri mattina un centinaio di loro si sono incamminati verso il comune che da quando è stato sciolto per mafia è retto da tre commissari prefettizi. Slogan e cartelli contro forze di polizia e razzisti. Con la mediazione di alcune associazioni locali e della Cgil hanno incontrato i rappresentanti del Prefetto. La salma di Sakine sarà riportata a Jema in Mali, dove ad attenderla ci sono i genitori del ragazzo morto. Si stanno sbrigando le pratiche e si attende l’arrivo di un suo fratello che vive a Siracusa. Al campo ripetono «i bianchi in questo posto non ci farebbero stare neppure i loro cani, non è vita». In inverno, quando tra le baracche ci vivono in 1.500 le associazioni provano a dare una mano, tra gelo e miseria, c’è un minimo di assistenza medica. Negli ultimi mesi anche i volontari sono rimasti in pochi. Il campo doveva essere sgomberato già mesi e i migranti essere trasferiti in una tendopoli più moderna. Intanto i comuni avrebbero ricevuto incentivi per le politiche abitative. Non è ancora successo niente anche se ieri sera il prefetto Claudio Sammartino ha promesso interventi rapidi: «La situazione non è più tollerabile».
La violenza cammina sulle gambe della miseria, e uccide. Ha ucciso mercoledì e aveva ucciso a dicembre, quando un altro migrante era stato trovato ammazzato a bastonate. «Non c’è stata giustizia neppure in quel caso», ricordano al campo. E senza giustizia «non c’è pace».