Repubblica 10.6.10
Gioia Tauro
“Sakine ucciso come un cane, qui non è vita”
di Giuseppe Baldessarro
Rosarno
«Vogliamo giustizia e verità». La rabbia dei migranti della tendopoli
ha il volto di un ragazzo alto e magro come un chiodo. Si chiama
Mamadou, ed è del Mali, come maliano era pure suo cugino Sakine Traore,
ucciso mercoledì mattina dal colpo di pistola di un carabiniere che
aveva appena accoltellato. È successo tutto in pochi istanti. La rissa
tra migranti, Sakine agitatissimo e forse ubriaco, l’intervento delle
forze dell’ordine e la reazione violenta del ragazzo di 27 anni. Il
taglio sulla faccia del militare, la confusione e quel colpo di pistola a
bruciapelo in una tenda attrezzata a piccolo spaccio alimentare. Unici
testimoni due poliziotti e quattro carabinieri. Per la Procura di Palmi
si tratta di «legittima difesa». Ma loro, i migranti, non riescono a
farsene una ragione. «In sei non sono riusciti a bloccarlo, forse si
poteva evitare. Invece è morto come un animale».
Il volto scavato
dalla fatica dei campi di Mamadou è identico a quello di tanti altri
fantasmi che popolano la landa desolata di tende e baracche costruita
nell’area industriale di San Ferdinando, alle porte di Rosarno. Sono gli
ultimi, gli ultimi degli ultimi. Il grosso dei “neri” che in inverno
raccolgono mandarini e arance è già partito per Puglia e Campania dove è
iniziata la stagione dei pomodori. Nella Piana di Gioia Tauro ci sono
restati solo quelli senza documenti e senza soldi, quelli che come
dicono da queste parti «non hanno più neppure gli occhi per piangere».
Lavorano in pochi negli orti di San Ferdinando, Rizziconi e Gioia Tauro,
gli altri vivono di stenti tra l’immondizia della tendopoli. Qualcuno
si è inventato un piccolo commercio di scatolette e zucchero, c’è
persino chi vende le sigarette sfuse come in tempo di guerra. Chi può
scappa da questo nulla per rincorrere altri nulla. Ieri mattina un
centinaio di loro si sono incamminati verso il comune che da quando è
stato sciolto per mafia è retto da tre commissari prefettizi. Slogan e
cartelli contro forze di polizia e razzisti. Con la mediazione di alcune
associazioni locali e della Cgil hanno incontrato i rappresentanti del
Prefetto. La salma di Sakine sarà riportata a Jema in Mali, dove ad
attenderla ci sono i genitori del ragazzo morto. Si stanno sbrigando le
pratiche e si attende l’arrivo di un suo fratello che vive a Siracusa.
Al campo ripetono «i bianchi in questo posto non ci farebbero stare
neppure i loro cani, non è vita». In inverno, quando tra le baracche ci
vivono in 1.500 le associazioni provano a dare una mano, tra gelo e
miseria, c’è un minimo di assistenza medica. Negli ultimi mesi anche i
volontari sono rimasti in pochi. Il campo doveva essere sgomberato già
mesi e i migranti essere trasferiti in una tendopoli più moderna.
Intanto i comuni avrebbero ricevuto incentivi per le politiche
abitative. Non è ancora successo niente anche se ieri sera il prefetto
Claudio Sammartino ha promesso interventi rapidi: «La situazione non è
più tollerabile».
La violenza cammina sulle gambe della miseria, e
uccide. Ha ucciso mercoledì e aveva ucciso a dicembre, quando un altro
migrante era stato trovato ammazzato a bastonate. «Non c’è stata
giustizia neppure in quel caso», ricordano al campo. E senza giustizia
«non c’è pace».