venerdì 10 giugno 2016

il manifesto 10.6.16
La rabbia dei migranti: «Dateci il corpo di Sekine»
Gridano: «Italia razzista», «ci hanno ammazzato un fratello, non dicono la verità». Erano 200, tesi ma non violenti, sotto il Comune - sciolto per ‘ndrangheta - a protestare l’innocenza del giovane ucciso
Silvio Messinetti

ROSARNO Hanno paura che Rosarno diventi una piccola Ferguson. Che dietro l’omicidio di Sekine Traorè sotto i colpi di un carabiniere ci sia uno sfondo razziale. La notte a San Ferdinando ha portato rancore, mietuto rabbia. E così, alle prime luci del giorno, decidono di muoversi in corteo verso il municipio. L’inquilino è stato sfrattato da qualche mese. Il comune è stato sciolto per ‘ndrangheta e l’ex sindaco, Mico Modafferi, è agli arresti.
I migranti della tendopoli che manifestano sono in 200, tesi, decisi, ma non violenti. Vogliono giustizia, chiedono ascolto. «Rimpatriate al più presto la salma di Sekine», urlano. Una delegazione entra in Comune con la mediazione dei commissari prefettizi.
C’è anche il cugino di Traorè, ma lui non vuol parlare. Dalla Sicilia e dalla Francia stanno arrivando i fratelli del bracciante ucciso. E saranno loro a rappresentare la famiglia. Per lui hanno parlato altri. Ai commissari chiedono che il Comune si costituisca parte civile nel processo che (forse) si celebrerà contro l’appuntato Antonino Catalano, il militare che ha sparato. Vogliono vedere la salma e si augurano che il procedimento non venga archiviato.
Intanto, dalla piazza si odono le grida: «Italia razzista», «ci hanno ammazzato un fratello, non dicono la verità», «sette contro uno: vergogna!». La delegazione espone la propria versione dei fatti.
La dinamica “ufficiale”, avallata a stretto giro dalla procura di Palmi, raccontava che il militare sarebbe stato aggredito da Traorè con un coltello e, spaventato, avrebbe fatto fuoco per difendersi.
Ma chi c’era mercoledì ricorda ben altro: «Sekine si era barricato in una tenda. A un tratto i sei-sette carabinieri, dopo averlo invitato a uscire, sono entrati con la forza. C’è stata una colluttazione. Poco dopo abbiamo udito il colpo che lo ha ucciso». Una cosa ribadiscono con fermezza: Sekine non era un rambo, «non sarebbe mai stato in grado di affrontare sette uomini armati e addestrati». Dicono che quello che hanno visto e sentito lo testimonieranno in ogni sede.
La delegazione poi torna in piazza. Arriva Amadou, il fratello che vive in Sicilia. Si agita, e supplica di avere presto il via libera per far tornare il corpo di Sekine in Mali per la sepoltura. Amadou ribadisce che il fratello non era un disadattato, «forse subiva il disagio di vivere in quella tendopoli, ma non era pazzo». Questo è confermato anche dai medici del Medu. «Non avevamo mai visitato Sekine. In ogni caso il disagio psichico è comune nei migranti costretti a vivere, dopo il viaggio, una condizione di vita così angusta nella baraccopoli», puntualizza la dottoressa Giulia Anita Bari. Anche loro vogliono capire quale sia stata la reale dinamica dei fatti.
In piazza ci sono gli antirazzisti. Hanno costituito il «Comitato Verità e Giustizia per Sekine Traorè». Sono determinati ad andare fino in fondo. Distribuiscono un comunicato. «Tanti interrogativi, troppi buchi neri», dicono. A cominciare dall’ora del decesso. «Non è chiaro il tempo trascorso tra l’arrivo degli agenti e la morte violenta per colpo d’arma da fuoco all’addome. La velina dell’Arma segnala l’orario della rissa ma non quello del decesso e tantomeno quello dell’arrivo delle volanti». Anche loro non credono alla storia di Sekine “impazzito”. Si sentiva a disagio ma non era psicopatico. «E poi quanti di noi nati qui nelle stesse condizioni darebbero segni di squilibrio e dopo quanto tempo?», si chiedono.
Ad ogni modo «non ci interessano i linciaggi. Le responsabilità dei singoli esigiamo che vengano chiarite prima di tutto perché, in mancanza di ciò, ci troveremmo di fronte a una grave minaccia alla libertà e all’incolumità di tutti per un fatto che nel nostro paese sarebbe l’ennesimo».
Ora tutto è in mano agli inquirenti. L’appuntato Catalano è iscritto nel registro degli indagati ma non è stato sospeso dall’Arma. Utili potrebbero esser le registrazioni delle telecamere intorno al campo. Ma il consorzio «Piana Sicura» che gestiva il sistema di videosorveglianza è fallito. E pro tempore sarebbe ora amministrato proprio dai carabinieri.
«Sekine è il quinto omicidio di Stato di africani dal 2008 a Rosarno- rileva il comitato- quelli deceduti di morte non naturale per superamento della soglia di sopportazione umana. Prima il ragazzo che si è impiccato dietro la famosa “fabbrica” , poi i due morti di bicicletta investiti lungo le provinciali senza lampioni e la persona trovata morta di freddo nei pressi della tendopoli qualche anno fa. E ora Sekine per cosiddette ragioni di ordine pubblico». Anche l’Arci nazionale interviene ed esprime sconcerto: «per un intervento di ordine pubblico che, essendosi concluso con la morte di un uomo, non può che ritenersi fallimentare».