La Stampa 10.6.16
Se parlare di Islam è un tabù
di Massimo Russo
Diceva
Albert Einstein che la mente è come un paracadute: funziona solo quando
è aperta. Due piccoli fatti avvenuti attorno a La Stampa dimostrano
quanto sia vero.
Accade che nel Buongiorno di ieri, la zona franca
per definizione della prima pagina del giornale, Massimo Gramellini
abbia messo alla berlina le nuove divise Alitalia, scatenando migliaia
di reazioni viscerali che lo accusano indistintamente (e a volte al
tempo stesso) di islamofobia e/o di sessismo. Nelle stesse ore sul
giornale grandinano contumelie per la decisione del direttore Maurizio
Molinari di partecipare alla celebrazione del Ramadan nella moschea di
Roma, rivendicando la cultura dell’Islam e del rispetto come un
patrimonio di tutti gli italiani.
Attenzione, qui non si sta
parlando di critiche, ché quelle, anche le più aspre, sono sempre
benvenute come una boccata d’aria fresca. No, si va dalle minacce alle
offese. Non si attaccano le idee, ma le persone o quel che
rappresentano. Quasi che di una questione centrale come il rapporto con
la religione e il mondo musulmano non si potesse più parlare perché
argomento troppo sensibile, un tabù inviolabile. Sia che si affronti il
tema con il registro del racconto di costume, dell’ironia e della
leggerezza, sia che lo si tratti dal punto di vista del confronto di
idee, per misurarsi e capire.
Spesso gli attacchi più violenti
vengono da quelli che «eravamo tutti Charlie Hebdo», o da coloro che
sventolano il primo emendamento della Costituzione americana solo quando
serve a tutelare quanti la pensano nel loro identico modo.
Avviso
a costoro: questo giornale da quasi 150 anni esiste proprio per
garantire il rispetto della grammatica fondamentale dei diritti,
dell’esercizio del dubbio, del paradosso, delle libertà personali e
della responsabilità. Con un filo rosso che parte da Alfredo Frassati,
passa da Norberto Bobbio e da Alessandro Galante Garrone per arrivare
fino a noi, incrociando nel suo percorso l’Unità d’Italia, Giustizia e
Libertà, l’azionismo, la nascita della Repubblica. È stato così al tempo
della carta, in quello del digitale e lo sarà anche quando le notizie e
le idee le condivideremo attraverso la trasmissione da sinapsi a
sinapsi. Soprattutto sui temi più divisivi, sui quali secondo alcuni
bisognerebbe tacere, aderire al pensiero unico, adeguarsi all’ipocrisia
del politicamente corretto. Per noi gli unici confini sono l’istigazione
all’odio e la negazione dei fatti. Su tutto il resto, ogni opinione ha
cittadinanza, ogni domanda è benvenuta. È questo che ci tiene insieme,
storie diverse, idee differenti che crescono ogni giorno nel confronto.
Non è pensiero debole o ambiguità. È la nostra natura, ciò che fa
impazzire di rabbia gli integralisti, i cultori della paura e del
silenzio, i maestrini della correttezza, quelli che preferiscono la
rassicurante mestizia del colore unico alla ricchezza degli arcobaleni
dopo i temporali primaverili di questi giorni.
Via, fatevi una
risata, tirate la cordicella del paracadute e cominciate a veleggiare
con noi nella libertà di pensiero. Sì, è vero, provoca dipendenza. È per
questo che la coltiviamo con tanto entusiasmo.