venerdì 10 giugno 2016

Repubblica 10.6.16
Muti: “Insegnare musica fa bene al Paese”
di Anna Bandettini

ROMA SE MILANO e la Scala domenica scorsa lo avevano idealmente stretto in un grande abbraccio che aveva cancellato gli addii e gli anni di lontananza (dal 2005), ora è Roma a rendergli un omaggio caloroso e innamorato. All’Auditorium Parco della Musica, in un dialogo con la giornalista Leonetta Bentivoglio, ieri sera Riccardo Muti è stato ospite tra i più attesi e illustri della Repubblica delle Idee, occasione per ripercorrere la sua pluriennale carriera alle soglie dei 75 anni che compirà il prossimo 28 luglio. «Poi mi spiegate cosa c’entra il Requiem di Mozart con i miei 75 anni», ha subito scherzato, chiosando il filmato che in apertura lo ha mostrato sul podio della Chicago Symphony Orchestra, con la quale ha rinnovato il contratto fino all’estate del 2020 come direttore musicale. All’affollata platea, Riccardo Muti, voce serena e una passione non toccata dall’età, ha mostrato quanto davvero ci tiene alla musica. Ha parlato di Verdi «uno degli autori più traditi», di sè bambino a Molfetta quando imparava le prime note («Un insegnante disse ai miei genitori: “non ce la farà mai”»), ma soprattutto di noi, dell’Italia di come questo paese tradisca le sue radici e sia così disattento alla musica. «L’ignoranza della musica è ignoranza delle proprie radici e senza radici la pianta muore. Non posso che dispiacermi per il disinteresse verso la musica che mostra questo nostro paese. Ai bambini al massimo si insegna a cantare “l’elmo di Scipio”, e loro si chiedono ma chi era ‘sto Scipio. Ma la musica è medicina dell’anima ed è fondamentale per la società, perchè mostra che specificità diverse possono convergere sullo stesso punto».
Nella riflessione del maestro, soprattutto il Sud. «Quanti teatri ci sono in Lucania? Chi vuole fare musica nel Sud deve affidarsi ai dischi, perchè anche la tv non ha attenzione per la musica sinfonica e le orchestre. Non è giusto». E come dice Muti è arrivato per noi il momento di fare qualcosa: «Nei Conservatori italiani si diplomano centinaia di ragazzi che poi non ce la fanno e vanno a fare altri mestieri. Lo vedo anch’io con la Cherubini l’orchestra che ho creato. In Corea ci sono 30 orchestre. È ora di cambiare e ritrovare la fierezza di essere italiani e non per stupido nazionalismo, ma per la nostra storia. A Chicago di fronte al mio teatro c’è l’Art Museum, quando esco e vedo di fronte scolpiti i nomi Michelangelo, Raffaello, mi sento orgoglioso. E mi viene in mente un aneddoto: subito dopo la guerra l’ambasciatore americano, convinto di essere per noi il salvatore, era andato a Firenze a trovare il sindaco La Pira, il quale lo apostrofò così: prima che lei parli, ambasciatore, le dico che questo tavolo era qui prima che noi scoprissimo l’America. Questa è l’Italia».