Repubblica 10.6.16
Quella solidarietà europea infranta da Merkel-Sarkozy all’inizio dell’onda populista
Dopo
la dichiarazione di Deauville, in Normandia, la crisi dei debiti
sovrani si trasformò nell’attacco dei mercati mondiali. Prima del fiscal
compact
di Andrea Bonanni
BRUXELLES IL TRAMONTO
autunnale, sulla lunga passeggiata a mare di Deauville, è da mozzare il
fiato. Angela Merkel e Nicholas Sarkozy si fanno ritrarre dai fotografi
mentre camminano fianco a fianco: sorridenti e complici, i cappotti
sbottonati per approfittare degli ultimi tepori di stagione. È lunedì 18
ottobre 2010 e da questa località balneare della Normandia la coppia
franco-tedesca sta per scatenare, forse senza neppure rendersene conto,
la peggior tempesta finanziaria che si sia mai abbattuta sull’Europa.
La
dichiarazione di Deauville segna il punto in cui la crisi dei debiti
sovrani, che si è abbattuta sull’Europa già dal 2008, si trasforma in un
attacco convergente dei mercati mondiali contro la capacità di tenuta
dell’euro. «Merkel e Sarkozy pensavano di poter governare la situazione
in due — ricorda ora Mario Monti — Quello fu il momento più alto
dell’egemonia franco-tedesca in Europa. Invece innescarono una turbativa
dei mercati che sarà ricomposta solo dal summit del giugno 2012, dopo
che l’elezione di Hollande aveva messo fine al binomio esclusivo tra il
presidente francese e la cancelliera tedesca».
L’incontro
Merkel-Sarkozy avviene in un momento critico, ma non ancora drammatico.
Ungheria, Romania e Lituania hanno già dovuto fare appello a prestiti
internazionali per salvare le finanze pubbliche. Ma sono fuori
dall’euro. Tra i Paesi della moneta unica, soltanto la Grecia è ricorsa a
un prestito europeo. Tuttavia è chiaro che la situazione non può che
peggiorare e che l’unione monetaria non ha gli strumenti normativi per
fronteggiarla. Merkel vuole evitare che la catena dei salvataggi si
allunghi troppo. Pretende sanzioni più dure per i governi che non
rispettano il Patto di stabilità. Chiede una riforma dei Trattati che
indurisca le regole della disciplina di bilancio. E soprattutto non
vuole sobbarcarsi l’onere del salvataggio finanziario di Atene. Sarkozy
prova ad ammorbidire le posizioni più dure della Cancelliera. Ma alla
fine, come sempre, cede praticamente su tutta la linea.
Al termine
della passeggiata di Dauville, Merkel e Sarkozy diramano un comunicato
in cui chiedono la creazione di un sistema permanente di gestione delle
crisi debitorie. Ma il comunicato, in sè abbastanza generico, contiene
una formuletta destinata a cambiare la storia: « private sector
involvement». I mercati gli affibbieranno l’acronimo “Psi” e ne faranno
la bandiera sotto cui andare all’assalto dell’euro. Nel meccanismo di
salvataggio, dice l’asse franco-tedesco, deve essere coinvolto «anche il
settore privato». In altre parole, se un Paese si trova in stato di
insolvenza, chi detiene i suoi titoli di stato dovrà pagarne le
conseguenze subendo un taglio del loro valore nominale.
La
dichiarazione di Deauville rompe un tabù non detto e nemmeno scritto:
per la prima volta viene apertamente evocata la possibilità che un Paese
dell’area euro possa fare bancarotta. E che questa bancarotta possa
essere pagata da chi ne detiene i titoli di debito. Fino ad alloora,
anche se i Trattati non lo prevedevano, l’eurozona era stata percepita
come un «unicum» inscindibile. Con quelle tre parolette, « private
sector involvement», Merkel e Sarzozy la trasformano in una sommatoria
di responsabilità, e dunque di vulnerabilità, nazionali. Il messaggio,
disastroso, che arriva ai mercati finanziari è duplice. Da una parte,
chi detiene titoli di Paesi fortemente indebitati è avvertito che potrà
essere chiamato a pagare il prezzo di una possibile insolvenza, e dunque
viene indirettamente invitato a disfarsene. Dall’altra, agli occhi dei
grandi fondi speculativi, l’euro viene presentato come una cipolla, che
può essere sfogliata strato dopo strato, Paese dopo Paese, debito
pubblico dopo debito pubblico, fino a smontarla completamente. Di colpo,
far parte della zona euro non è più una garanzia ma un accresciuto
fattore di rischio.
«L’idea di non fare dell’Europa il pagatore di
ultima istanza poteva anche essere giusta — commenta Monti — Ma la
Merkel sbagliava pensando che obbligare governi a mettere i conti in
ordine bastasse a far cessare la speculazione». La scommessa dei
mercati, ormai, non era più sulla tenuta di un singolo Paese ma su
quella complessiva della moneta unica.
Le conseguenze di
quell’errore non si fanno attendere. L’attacco si focalizza, come è
naturale, contro gli anelli più deboli. A novembre 2010, poco più di un
mese dopo Deauville, l’Irlanda deve chiedere l’intervento del Fondo
europeo.
A maggio 2011 è il Portogallo a dover ricorrere all’aiuto
dei partner. Intanto gli interessi sui titoli italiani e spagnoli vanno
alle stelle. A luglio 2011 lo spread tra Bund e Btp sfiora i 400 punti.
A novembre tocca quota 574 e Berlusconi deve cedere la guida del
governo a Monti. Nel frattempo l’Europa è sprofondata nel baratro del
rigore e della recessione. La troika detta le sue regole draconiane ai
Paesi sotto assistenza europea. I mercati impongono agli altri, con
l’arma dello spread, un risanamento dei conti a tappe forzate che non fa
che aggravare la recessione economica. La sfiducia e l’ostilità tra le
“formiche” del Nord e le “cicale” del Sud è alle stelle.
Sarà
Mario Draghi, nominato presidente della Bce nel maggio 2011, a cercare
di ricucire lo strappo di Deauville proponendo per la prima volta un
fiscal compact, un contratto che vincoli i governi a una disciplina di
bilancio sotto sorveglianza europea come strumento per ricostruire la
coesione politica della zona euro. Merkel, che comincia a capire la
portata dell’errore compiuto a Deauville, si adegua. Sarkozy esce di
scena. Nel marzo 2012 viene firmato il Trattato del fiscal compact.
Nel
giugno 2012, mentre anche la Spagna è costretta a ricorrere ai prestiti
europei, Mario Monti e François Hollande, in un vertice europeo in cui
l’Italia agita la minaccia del veto, costringono la Germania ad
accettare l’idea di un «meccanismo anti- spread» che ripristini in
qualche modo la solidarietà della zona euro. Forte di questa copertura
politica, meno di un mese dopo, a luglio, Draghi pronuncia il famoso «
whatever it takes» schierando la Bce a difesa della moneta unica. Lo
strumento prescelto, e mai utilizzato, saranno le Omt, Outright monetary
transactions, un programma lanciato il 6 settembre 2012, con cui la Bce
si impegna ad acquistare illimitatamente i titoli di stato di Paesi
sotto attacco speculativo, a condizione che questi siano impegnati a
risanare i conti pubblici. La speculazione batte in ritirata. Gli spread
tornano a scendere. L’euro è salvo. Ma le ferite inflitte al principio
di solidarietà europea in quei ventidue mesi e mezzo che vanno dal 18
ottobre 2010 al 6 settembre 2012 sono ancora aperte, e ancora infette. E
il populismo che oggi dilaga in tutta Europa è, in larga misura, la
febbre di quell’infezione.