Repubblica 10.6.16
Le primarie americane
La battaglia di Hillary “Ho chiamato Sanders bisogna unire il partito contro l’incubo Trump”
La candidata democratica “Noi due abbiamo molto in comune, a partire dalla lotta per il salario minimo”
di Anne Gearan
POCHI
MINUTI prima di pronunciare il suo discorso di vittoria come candidata
democratica alla presidenza, Hillary Clinton era preoccupata di non
riuscire a trattenere la commozione. «Ero sopraffatta», ha detto in
un’intervista telefonica.
Cosa ricorderà della sera della sua nomination?
«Sono
rimasta sbalordita dall’entusiasmo, dall’energia del pubblico. Ero
consapevole della portata storica del momento che stavo vivendo da
protagonista, un’emozione talmente grande che temevo di non riuscire a
tenere il mio discorso. Ho dovuto ricompormi e prepararmi, ma uscir
fuori in mezzo a quell’entusiasmo è stato travolgente e spero che in
tanti, assistendovi, abbiano provato gioia e orgoglio. Per me è stata
una delle esperienze più straordinarie e significative mai vissute in
pubblico».
Come pensa di riuscire a guadagnare il completo appoggio di Bernie Sanders alla sua candidatura alla presidenza?
«L’ho chiamato per congratularmi con lui per la sua straordinaria campagna elettorale.
Ammiro
la sua energia, la sua determinazione e la sua dedizione. La corsa alla
candidatura è stata molto combattuta e credo si sia rivelata altamente
positiva per il partito democratico e per il paese. Le nostre campagne
indicano che possiamo unire le forze contro la minaccia che Donald Trump
pone al nostro futuro ed è mia intenzione unire il partito e il paese. È
necessario per condurre con la massima efficacia la sfida contro Trump.
In seguito dobbiamo continuare ad adoperarci per unire il paese e
realizzare gli obbiettivi. Mi impegnerà al massimo perché avvenga».
Teme
che Sanders possa essere un partner meno collaborativo nei suoi
confronti rispetto all’impegno totale che lei ha profuso per la campagna
di Obama nel 2008?
«Mi auguro senza dubbio che collabori. Credo
che Sanders e i suoi sostenitori siano consapevoli della posta in gioco,
del fatto che dobbiamo unire le forze per sconfiggere Trump. Farò di
tutto per persuaderlo e cercherò il contatto con i suoi sostenitori allo
stesso scopo. Abbiamo molti obiettivi comuni, come l’assistenza
sanitaria universale. Entrambi vogliamo aumentare il salario minimo,
contrariamente a Trump che non lo reputa necessario. Abbiamo davvero
molto in comune e senza dubbio, al di là delle possibili differenze,
siamo totalmente contro Trump e ciò che rappresenta».
Pensa in futuro di rivedere o ridurre il ruolo dei superdelegati?
«Siamo
sempre attenti a ottimizzare le procedure di scelta del candidato alla
presidenza. Sono molto fiera di aver ottenuto 12 vittorie nelle ultime
19 sfide e di essere in testa di 3 milioni di voti rispetto a Sanders e
di 2 milioni rispetto a Trump; non ho ancora i dati completi delle
grandi vittorie in New Jersey e in California né di quelle in Sud Dakota
e New Mexico, ma abbiamo ottenuto un insieme di più di 300 delegati
vincolati. Quindi sulla base dei criteri più importanti, il voto
popolare, il numero degli Stati conquistati e dei delegati vincolati,
direi che abbiamo fatto molto bene, ma vogliamo capire come poter far
meglio».
Quindi non esclude una revisione del sistema elettorale?
«Credo
che si aprirà un dibattito nel Comitato nazionale democratico. Non sono
stata coinvolta, ma ci sono state variazioni dopo il 2008 e il 2012. Ci
sarà occasione di discuterne».
Il fatto che sia lei che Trump
abbiate totalizzato il maggior numero di sondaggi negativi di qualsiasi
candidato alla presidenza del nostro tempo dice qualcosa della
situazione attuale del paese?
«Quanto a me, quando ho rivestito
cariche ufficiali, da senatrice o segretario di Stato, ho sempre
ottenuto alti consensi. Da segretario di Stato avevo un indice di
gradimento del 66 per cento. Ma sono anche il bersaglio favorito dei
repubblicani e di altri che non concordano con le mie posizioni e hanno
speso milioni di dollari in spot contro di me da quando è iniziata la
campagna elettorale. Intendo impegnarmi al massimo per dimostrare che
oltre alla preparazione e all’esperienza ho pronte idee che penso
daranno risultati a vantaggio degli americani, serviranno a proteggere
il nostro paese, ad avere un ruolo guida nel mondo e a unirci».
Si è espressa contro la politica che fa leva sulla paura, ma la sua campagna non è forse basata sulla paura di Trump?
«Non
è la stessa cosa. La campagna di Trump è tesa ad alimentare timori e
rabbia, mettendo gli americani gli uni contro gli altri. La sua
ambizione di “fare di nuovo grande l’America” crea ansie e insicurezza
in chi si sente escluso ed emarginato. Trump non ha vere risposte, solo
slogan. Fin dall’inizio della campagna ha alimentato la paura nei
confronti degli immigrati, definendo gli immigrati messicani stupratori e
criminali. Dobbiamo affrontare il futuro con fiducia e ottimismo. Io
credo che l’America possa ancora vivere i suoi anni migliori in futuro
ma non possiamo darlo per scontato, c’è molto da fare. Da Trump arriva
esattamente il messaggio opposto, totalmente improntato alla paura.
Dobbiamo contrastarlo con forza».
Pensa che Donald Trump sia razzista?
«Non
so se lo sia intimamente. Posso solo dire che a giudicare dalle sue
affermazioni da quando è iniziata la campagna elettorale ha lanciato
attacchi carichi di pregiudizi mirati a creare divisioni. Dire che una
persona non può svolgere adeguatamente il suo compito per via delle sue
origini è senza dubbio un attacco razzista che non trova spazio nella
nostra politica. Molti importanti esponenti repubblicani hanno preso le
distanze da queste posizioni. Credo che Trump abbia lanciato
quell’attacco con quel linguaggio razzista per sviare l’attenzione dalla
truffa della Trump University. Una prassi fraudolenta. Non bisogna
dimenticare che ha insultato e umiliato le donne, i musulmani, gli
immigrati, gli afroamericani, i disabili. Sono in completo disaccordo.
Non penso che si possa costruire un paese distruggendo le persone».
Copyright Washington Post/ Distr. Adnkronos Traduzione di Emilia Benghi