Repubblica 10.6.16
Perché No
Le idee e la ricerca non devono essere censurate
di Anna Foa
Ecosì,
alla fine, la legge sul negazionismo è stata definitivamente approvata
dal Parlamento italiano ed è diventata legge anche in Italia. Ero, e
continuo ad esserlo, tra quanti ritenevano questa legge un errore. Un
errore sotto due diversi aspetti, quello della ricerca storica e della
libertà di pensiero e quello dell’effettivo risultato che una legge del
genere può portare. Cominciamo dal primo di questi due aspetti, quello
che può sembrare meno importante, a torto perché implica una deroga ai
principi fondamentali del nostro assetto politico e culturale. Con
questa legge, infatti, si passa oltre quelli che erano i limiti della
legge Mancino, legge che non era una legge su reati d’opinione,
contrariamente a quanto sostenevano i suoi detrattori, che puniva chi
diffondeva in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o sull’odio
razziale o etnico, o incitava a commettere atti di discriminazione o
violenze per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Ora, la
modifica inserita per colpire il negazionismo introduce forti aggravanti
ove questi atti di razzismo si fondino «in tutto o in parte sulla
negazione della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro
l’umanità e dei crimini di guerra». Si introduce così una forte ipoteca
da parte dei tribunali e della legge sulla ricerca storica e sulla
libertà di scrivere e pubblicare, una sorta di via aperta verso una
verità decisa dall’alto. Infatti, chi stabilirà che cosa rientra nei
reati previsti? Chi deciderà se uno scritto, una ricerca, un libro di
storia si basano in tutto o in parte sulla negazione della Shoah o degli
altri genocidi? Questo è un salto nel vuoto molto grave.
È ancora
più grave, io credo, proprio perché la legge è volta a difendere la
memoria della Shoah e non invece il razzismo o l’antisemitismo. Si fonda
cioè sulle buone intenzioni. Ma come la mettiamo con la legge polacca
che commina la galera a chi offenda nei suoi scritti l’onore della
Nazione, reato per cui è stato nel dicembre incriminato lo storico Jan
Tomasz Gross, autore di ricerche importanti sulla Shoah e
l’antisemitismo in Polonia? Vi sembra che si tratti davvero di misure di
natura tanto diversa?
Per quanto riguarda il risultato di questa
legge, chi l’ha sostenuta mira, credo, più che altro a un effetto
deterrente. Non mi immagino infatti che ci saranno in Italia processi
importanti, anche perché i negazionisti italiani sono veramente
personaggi senza rilievo, meri antisemiti che si ricoprono di dignità
storica e che dovrebbero soltanto essere lasciati nell’oscurità dove ora
vegetano. Invece è possibile che con questa legge assumano un rilievo
che non meritano, diventino martiri della libertà delle idee,
dimentichino di essere i figli di chi i libri li bruciava in piazza per
diventare tutti degli eroi della libertà. Mi auguro proprio che non
vorremo dar loro tutto questo spazio. Più o meno, questo è il risultato
che le leggi contro il negazionismo hanno avuto nei paesi d’Europa in
cui sono state varate: una crescita del negazionismo e
dell’antisemitismo, in tutte le sue sfaccettature.
Il negazionismo
non si combatte nelle aule dei tribunali, ma nella ricerca, nella
scuola, nell’insegnamento. Nelle aule dei tribunali si processano i
perpetratori, non i loro esangui epigoni a tavolino, a meno che non si
voglia diffonderne le idee e far loro da cassa di risonanza. La Shoah è
l’evento storico più documentato della storia. Da dove abbiamo assunto
l’idea di aver bisogno di leggi per proteggerne la memoria, invece che
di docenti che ne insegnino le vicende, che riescano a creare negli
studenti passione e interesse? Si è preteso di sostituire lo studio con
le celebrazioni, ora si pretende di sostituire alla ricerca storica e
all’insegnamento la censura e le aule dei tribunali. Facciamo attenzione
almeno ad una cosa: non deleghiamo a questa legge, che ormai esiste e
con cui bisognerà fare i conti, l’insegnamento del Novecento, lo studio
della storia del nazismo, dei genocidi, delle violenze di massa.
Continuiamo ad insegnarli, a studiarli, a trasmetterli. Continuiamo ad
insegnare, insomma, anche se pensiamo di avere un’aula di tribunale che
protegge le nostre ricerche.