mercoledì 29 giugno 2016

La Stampa TuttoLibri 29.6.16
Vedere senza sapere: tra i segreti del nostro “sesto senso”
Le neuroscienze trasformano le idee sulla coscienza
A Torino si celebra il “pioniere” Lawrence Weiskrantz
di Nicla Panciera

Lo psicologo Lawrence Weiskrantz, 90 anni, è professore emerito alla Oxford University

Lo chiamano «sesto senso», ma è più prosaicamente la capacità di alcuni individui di vedere senza saperlo. Il termine tecnico è visione cieca - «blind sight» - ed è una condizione neuropsicologica nella quale, in seguito a lesioni nella corteccia visiva primaria, punto d’entrata per la percezione visiva cosciente, i pazienti diventano clinicamente ciechi (è la «cecità corticale»), ma riescono comunque a localizzare gli oggetti della cui presenza non sono consapevoli. Pur avendo la sensazione di tirare a indovinare, di fatto ci azzeccano quasi sempre. Il fenomeno venne scoperto sul famoso paziente DB, nel 1974, da un gruppo di scienziati guidati dallo psicologo Lawrence Weiskrantz che, a Oxford, indagava la visione nelle scimmie.
Proprio lui, il padre della visione cieca, riceverà domani l’affiliazione onoraria all’Istituto di Neuroscienze e al dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino e sarà ospite dell’Accademia delle Scienze in occasione di un workshop internazionale in suo onore dal titolo «Neural Roots of Awareness, Emotion and Action in Man and Animals». Si discuteranno i progressi delle linee di ricerca che i suoi studi pionieristici hanno contribuito a sviluppare, come quelli «sul riconoscimento delle emozioni, sulla pianificazione delle azioni e sul fenomeno della coscienza», spiega Marco Tamietto dell’Università di Torino, organizzatore del convegno.
Utilizzo inconsapevole
Nel «blind sight» i pazienti riescono a usare le informazioni visive che arrivano ai centri di controllo motorio senza passare per le aree visive della corteccia e usano queste informazioni in modo inconsapevole come guida per le loro azioni. Così si spiega la sorprendente capacità di alcuni pazienti con cecità corticale di attraversare un corridoio evitando gli ostacoli posti dagli scienziati lungo il percorso. Non solo. Questi pazienti sanno distinguere forma, colore e movimento degli stimoli, come hanno dimostrato gli studi di Robert Kentridge della Durham University e Carlo Marzi dell’Università di Verona. E questa capacità può essere allenata, tanto che scienziati come Arash Sahraie della University of Aberdeen lavorano a programmi di riabilitazione che, basandosi sulla plasticità cerebrale, aiutino questi pazienti, addestrandone il «sesto senso».
Ma la visione non serve solo per conoscere il mondo, serve anche per agire. Melvyn Goodale dell’Università del Western Ontario, in Canada (anche lei domani tra gli ospiti), ha scoperto che disponiamo sì di un solo cervello, ma che questo è dotato di due «sistemi visivi» che nei soggetti sani agiscono sinergicamente: il vedere-per-percepire («via del cosa») e il vedere-per-agire («via del dove»). Il primo - osserva Tamietto - «fornisce una percezione consapevole dell’ambiente circostante; il secondo non deve per forza essere consapevole, ma è veloce e accurato, e rimane attivo nei pazienti con visione cieca».
Reazione al pericolo
L’informazione in arrivo dagli occhi, pur in modo non cosciente, svolge anche altre funzioni importanti. È nota, per esempio, la reazione al pericolo che, davanti a una potenziale minaccia, ci fa balzare all’indietro prima di averne preso coscienza. Oggi conosciamo il ruolo dell’amigdala e delle cortecce frontali nell’innescare queste risposte automatiche vitali e nel riconoscere le emozioni altrui, capacità altrettanto fondamentale per animali sociali come noi, ma dobbiamo a Weiskrantz la scoperta del ruolo dell’amigdala nelle emozioni e della connessione tra amigdala e visione.
«I pazienti con visione cieca possono riconoscere inconsapevolmente espressioni facciali e posture corporee, comprendendone la natura aggressiva o triste, sintonizzandosi rapidamente sulle emozioni altrui», sottolinea Tamietto, che ha partecipato agli studi sul fenomeno, il «contagio emotivo» osservato da Beatrice de Gelder della Maastricht University. Nei pazienti con visione cieca i muscoli della mimica facciale reagiscono coerentemente all’emozione espressa nell’immagine e ciò indica il riconoscimento dell’emozione in assenza di visione consapevole. Ciò conferma quanto il riconoscimento visivo delle emozioni e delle intenzioni altrui sia così vitale per specie come la nostra da bypassare il controllo cosciente. E infatti il «contagio emotivo» si verifica anche nei soggetti neurologicamente intatti per stimoli presentati sotto la soglia della coscienza.
Il superamento di questa soglia da parte di uno stimolo sensoriale non dipende solo dalle condizioni di visibilità e posizione nello spazio, ma dalle conoscenze del soggetto e dallo stato funzionale del suo cervello: le emozioni - di cui parlerà Joseph LeDoux dell’Università di New York - alzano la «salienza» di alcuni stimoli e ne favoriscono l’accesso alla coscienza.
Oltre all’idea di uno stato di veglia in cui una parte dei contenuti percepiti non possano accedere alla coscienza, poi, dobbiamo a Weiskranzt una pionieristica elaborazione teorica sui correlati neurali della coscienza stessa, in anticipo sulle tecnologie di brain imaging. «Se la corteccia visiva è necessaria per generare consapevolezza, ciò non vuol dire che sia anche sufficiente. Al contrario - aggiunge Tamietto - Weiskrantz ha argomentato come l’informazione visiva debba accedere dalle aree sensoriali ad altre aree superiori per essere ulteriormente “rappresentata” e dare luogo a vissuti coscienti».
Fenomeno misterioso
Parlando proprio di questo misterioso fenomeno chiuderà la giornata Giovanni Berlucchi, professore emerito dell’Università di Verona. Il grande nome della neurofisiologia italiana, illustrerà alcuni modelli animali delle alterazioni della coscienza nell’uomo. Se nella visione cieca un cervello incosciente è in grado di agire, ci sono pazienti pienamente coscienti, ma impossibilitati ad agire, come nella sindrome «locked-in». «In questo e in altri casi di apparente assenza della coscienza il “commentary” dall’interno, che secondo Weiskrantz permette di distinguere comportamenti coscienti e incoscienti, può essere misurato attraverso le attività cerebrali», dice Berlucchi.
Osservando i comportamenti e l’attività neurale di questi pazienti, così diversi, si sta imparando che, se la percezione cosciente richiede l’attivazione di moduli neurali specifici legati alle varie modalità sensoriali, la coscienza dipende dalla «scarica sincrona» di reti neurali in aree distanti e anche profonde. La comprensione di questa «sinfonia elettrica» è una delle sfide che le neuroscienze dovranno affrontare.