La Stampa 9.6.16
No a grandi opere, servizi in periferia
Nasce la nuova urbanistica M5S
Berdini
a Roma, Montanari a Torino: chi sono e cosa pensano gli assessori in
pectore Cultura di sinistra, delusi dal Pd. “La decrescita c’è già, i
palazzinari ci capiranno”
di Giuseppe Salvaggiulo
È
l’urbanistica il terreno su cui già si misura la sfida al Pd di
Virginia Raggi e Chiara Appendino nei ballottaggi a Roma e Torino. Come
assessori hanno indicato due «urbanisti gemelli»: Paolo Berdini e Guido
Montanari. Nomi pesanti con radici accademiche, noti nelle città per le
numerose battaglie civili, stessi maestri e una comune radice culturale,
«prima che la sinistra buttasse alle ortiche l’urbanistica». Le loro
idee: stop al consumo di suolo, revisione al ribasso dei piani
regolatori, più trasporto pubblico, no alla privatizzazione del
patrimonio immobiliare comunale. Proclamano «la fine dell’urbanistica
neoliberista» e una soluzione di continuità con le giunte di
centrosinistra.
Berdini e Montanari si riconoscono negli
insegnamenti di Edoardo Salzano, Pierluigi Cervellati, Vezio De Lucia.
Negli ultimi anni si sono ritrovati sia su temi nazionali che su
battaglie locali. L’ultima è quella sulla Cavallerizza di Torino, il
complesso tutelato dall’Unesco su cui il Comune ha lanciato
un’operazione finanziaria (con Cassa Depositi e Prestiti) di
ristrutturazione. Montanari è nel comitato «Cavallerizza Bene Comune»,
che ha occupato gli spazi e riaperto lo splendido giardino per opporsi
alla privatizzazione.
Prima si era battuto contro i grattacieli e
la trasformazione in centro commerciale del Palazzo del Lavoro di
Pierluigi Nervi, che nel ’61 ospitò la celebrazione del centenario
dell’Unità d’Italia. Tutte operazioni targate Pd. Tutte battaglie su cui
ha incrociato i militanti del Movimento 5 Stelle. A una manifestazione
Chiara Appendino, dopo averlo ascoltato, si avvicinò per conoscerlo. La
frequentazione si è consolidata in vista delle elezioni, quando gli ha
chiesto di collaborare al programma. Poi l’ha scelto come assessore.
Si
sono trovati subito su alcuni capisaldi. Primo: il patrimonio comunale
di valore storico e architettonico deve restare pubblico, sia per la
proprietà che per la gestione. Spiega Montanari: «I gioielli di famiglia
non si toccano. Le esigenze finanziarie? Non si può chiedere a un
povero di vendersi cornee e reni».
Secondo: «Il territorio non
deve essere un bancomat per un Comune assetato di oneri di
urbanizzazione». Montanari vuole una revisione «dalla A alla Z» del
piano regolatore del 1995. «Erano previsti 10 milioni di metri quadri di
nuove edificazioni. Ne sono stati realizzati poco più della metà. Il
residuo va ripensato, quartiere per quartiere, secondo le esigenze reali
di un mercato cambiato, con 50 mila alloggi vuoti. I piani che
comportano consumo di suolo si bloccano, le trasformazioni di aree già
edificate, come quelle ex industriali, si orientano diversamente: no
residenze e centri commerciali, ma piccole attività artigianali e
commerciali e servizi collettivi». E poi sconti fiscali per interventi
di riqualificazione ed efficienza energetica, investimenti nelle
periferie («Le Spine, i quartieri nati negli ultimi vent’anni, sono
disastrosi»), difesa delle destinazioni produttive («Meglio una fabbrica
abbandonata che un centro commerciale: prima o poi qualcuno torna a
produrre»).
Idee che Montanari ha sperimentato negli ultimi anni
come assessore a Rivalta, comune dell’hinterland torinese, e illustrato
qualche settimana fa all’associazione costruttori. «Ci dicono che noi
siamo per l’opzione edilizia zero, per la decrescita? Ma la decrescita
c’è già, lo dicono i costruttori. L’edilizia è già a zero. In Comune
arrivavano 30 pratiche a settimana, ora 3. Questa è urbanistica del no,
la nostra è urbanistica della felicità». È vero che anche le
associazioni di categoria negli ultimi anni hanno cambiato rotta su
questi temi, ma restano nodi non sciolti. Dove trovare le risorse per
fare tutto questo, se si riducono gli incassi degli oneri di
urbanizzazione? Resta un margine di vaghezza, oltre l’impegno a
racimolare 5 milioni di euro dal taglio di sprechi e consulenze del
Comune.
Berdini è sulla stessa lunghezza d’onda. Spiega che «lo
stop all’espansione sull’agro romano (15 mila ettari decisi dal Piano di
Veltroni nel 2008) non è ideologica, ma pragmatica. Roma è una città
fallita perché dal 1993 ha inseguito gli interessi immobiliari privati».
Non vuole bloccare tutti i progetti edilizi, ma solo quelli che
«provocano un aggravio di spesa pubblica per portare i servizi e
gestirli. Sulle aree già urbanizzate si può andare avanti». Altri
capisaldi: più trasporto pubblico e stop a grandi opere (tipo centro
congressi Eur o stadio del nuoto a Tor Vergata, esempi di spreco e
abbandono). «Vogliamo dirottare gli investimenti su interventi nelle
periferie della devastazione sociale».
Berdini non si nasconde «i
rischi» di un approccio così radicale. Le questioni finanziarie che si
possono aprire, i rapporti con le categorie interessate. «Ma qui è in
gioco la tenuta patrimoniale delle famiglie. Nelle periferie il valore
delle case è calato già del 30-35%. Vogliamo aumentare ancora l’offerta,
nonostante la crisi di domanda?». E i palazzinari? «La filiera della
casa non funziona, lo sanno anche loro. Sarà dura, ma non ne temo
l’ostilità. Ne conosco alcuni, ci capiranno».