La Stampa 9.6.16
La destra italiana in default spaccata tra Mussolini e Badoglio
Accuse e insulti fra Alessandra e la Meloni attorno a un’eredità azzerata
di Mattia Feltri
Un
conto era aver trasferito la ridotta di Valtellina a Cortina d’Ampezzo.
«Hanno biografie da passeggio», disse pochi anni fa Marcello Veneziani,
scrittore di destra senza sciocchi imbarazzi, sugli eterni colonnelli
del postfascismo. Sembrava impietoso e invece no: il finale non è da
passeggio, col maglione di cachemire adagiato sulle spalle, ma una
spassosa questione di ringhiera. Alessandra Mussolini, capolista di
Forza Italia a Roma, non entrerà in Consiglio comunale perché ha preso
meno di millecinquecento voti, ma è felice come una pasqua: «La mia
missione, per volere di Silvio Berlusconi, era di impedire l’accesso di
Giorgia Meloni al ballottaggio». Meloni la risposta l’ha studiata bene:
«Fa una certa impressione vedere una Mussolini vantarsi di una
badogliata». Difficile escogitare insulto più sanguinoso, visto che
Pietro Badoglio è stato consegnato alla storia come il traditore
opportunista del Duce. E infatti Ignazio La Russa, attendente di Meloni,
si è figurato l’«incorruttibile» buonanima rigirarsi nella tomba, non
fosse per Rachele, sorella di Alessandra, unica Mussolini eletta in
Campidoglio in una lista civica «Per Giorgia».
Chissà se è un buon
argomento di discussione dopo che l’altro giorno, sul Tempo, proprio
Meloni ne aveva proposto un altro, a proposito di Francesco Storace che a
Roma, con La Destra, ha preso poco più di settemila voti, e cioè lo 0.6
per cento grazie anche all’appoggio di Gianfranco Fini e Gianni
Alemanno. L’ex sindaco le ha risposto ieri: «Ci chiede il pudore di
farci da parte. Mi dispiace, siamo spudorati»; ha poi concluso con mano
di juta augurandosi che una volta provata la gioia più grande (la
maternità) possa «liberarsi dall’odio e dal risentimento». Il dibattito
lo si direbbe all’altezza delle percentuali: già segnalate quelle di
Storace, uno ancora capace di dignità e autocritica, degne di nota
quelle di Meloni, che a Roma è andata mica male ma nel resto d’Italia
non esiste: 2.4 a Milano, 1.4 a Torino, 1.2 a Napoli. Per la completezza
del quadro tocca registrare l’esultanza di Casapound per il 4 per cento
a Sulmona, per il «10 per cento nel seggio di Via Fasan a Nuova Ostia»,
per il passaggio dallo 0.5 all’1.1 a Roma, e per lo 0.58 a Torino. È
tutto quello che resta - e infilarci Casapound è un arbitrio - di
Alleanza nazionale che prendeva milioni di voti ed era arrivata fino al
15 per cento. E sono trascorsi solamente otto anni dal giorno in cui
Alemanno era arrivato al ballottaggio romano, per poi vincerlo contro
Francesco Rutelli, col 40 per cento. Storace era prossimo al quattro.
Pietrangelo
Buttafuoco - altro scrittore che aveva cercato di nobilitare la destra -
non è così contento di pronunciare l’elogio funebre. Un po’ perché
elogio non è, un po’ perché è complicato riassumere in poche parole una
così spaventosa e buffa tragedia. Comunque: «C’è stato chi si era fatto
carico di un’eredita della sconfitta, di custodire un deposito di
memoria che evocava la tragedia, ma che poi l’ha trasformata in una
faccenda di botteguccia per ritagliarsi una carriera». Ancora: «Si sono
inventati battaglie e hanno assecondato campagne per assecondare i
peggiori istinti. Un partito, il Movimento sociale, fondato da Ardengo
Soffici e da Biagio Pace, ha scansato le personalità per far posto ai
personaggi». Cioè, ha fatto la fine che meritava. Anche Marcello
Veneziani, oltre le sue «biografie da passeggio», è in difficoltà ad
analizzare «uno sfarinamento a scaglioni». Si direbbe che alla destra
italiana abbia fatto molto peggio il ventennio berlusconiano che il
ventennio del Fascio. «L’idea di An di diventare fotocopia di Forza
Italia e il deludente risultato di Alemanno hanno favorito una
progressione che culmina oggi». Culmina, intende Veneziani, nelle
imbarazzanti leadership attuali che, spiega uno dei loro, in queste
settimane rimasto ai margini, «hanno usato la campagna elettorale per
fottersi a vicenda», incapaci di intercettare quel poco che la
dialettica destra-sinistra ancora concede, di dire qualche cosa di poco
più che banale su temi ancora divisivi «come la bioetica e la famiglia»,
conclude Veneziani.
Eravamo rimasti alle infiltrazioni badogliane
nella famiglia Mussolini. Ma c’è poco da dire, secondo Buttafuoco.
Basta citare Totò: «Sti ppagliacciate ’e ffanno sulo ’e vive: nuje simmo
serie... appartenimmo à morte».