giovedì 9 giugno 2016

La Stampa 9.6.16
Cucchi torturato come Regeni”
Il pg di Roma: l’ospedale è stato un lager. Chieste 5 condanne per primario e medici del Pertini
di Francesco Grignetti

«Per Cucchi quell’ospedale era l’equivalente di un lager. La sua morte orribile e tragica ricorda per certi versi quella di Giulio Regeni». Usa parole forti, il procuratore generale Eugenio Rubolino per la sua requisitoria al processo di appello-bis in corso a Roma. La Cassazione ha imposto la ripetizione di un processo che era terminato senza colpevoli. Invece i colpevoli di quella morte ci sono eccome. «Io non vorrei che Stefano Cucchi morisse per la terza volta: una prima, lo hanno ucciso servitori dello Stato in divisa, si tratta solo di stabilirne il colore; la seconda, l’hanno ucciso servitori dello Stato in camice bianco...». Non uccidiamolo una terza volta in tribunale, lascia intendere.
Un passo indietro, indispensabile, per capire il discorso del magistrato. L’accenno di Rubolino al colore delle divise di chi l’ha ucciso una prima volta, rinvia all’inchiesta in corso su alcuni carabinieri che secondo la procura di Roma picchiarono il giovane subito dopo l’arresto. Che fosse stato picchiato, ma da agenti della polizia penitenziaria, fu quanto invece sostennero i pm al primo processo.
C’è poi la questione dei camici bianchi: Cucchi morì il 22 ottobre 2009 nel reparto di medicina protetta (quello per i detenuti) dell’ospedale “Sandro Pertini”, al sesto giorno di ricovero. Lo curarono, si fa per dire, cinque medici, i quali sono stati condannati in primo grado per omicidio colposo, assolti in appello, rinviati alla sbarra dalla Cassazione, ora in attesa di nuova sentenza. Rubolino ha chiesto 4 anni di reclusione per il primario Aldo Fierro, 3 anni e 6 mesi per i medici Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Silvia Di Carlo e Luigi De Marchis Preite.
Raccapricciante il quadro dei maltrattamenti subiti dal giovane in ospedale: «Già all’ingresso sono state riportate circostanze chiaramente false sulla cartella clinica: era un bradicardico patologico, con 40 battiti cardiaci al minuto rispetto ai 60 fisiologici, eppure i medici non gli hanno mai preso il polso».
Nei confronti del detenuto Cucchi è incredibile il cumulo di menefreghismo, disinteresse, disprezzo. «Presentava una frattura alla vertebra sacrale per il pestaggio avvenuto nelle fasi successive all’arresto. Aveva un trauma sopraccigliare con scorrimento del sangue sotto gli occhi. Aveva un forte dolore fisico in conseguenza di quell’aggressione. Eppure gli è stato solo somministrato un antidolorifico che ha contribuito a rallentare il cuore, muscolo già indebolito perchè non irrorato».
In quella cartella clinica fasulla, l’apparato muscolare nel suo complesso viene definito tonico. «Ma il paziente non aveva neppure i glutei per poter avere una iniezione». Già al ricovero c’era un’emergenza cardiovascolare «e invece non si è fatta una diagnosi, non si è nemmeno controllato il battito».
Le perizie dicono che il corpo di Cucchi a quel punto si nutriva delle sue stesse cellule, «affetto com’era da un catastrofico catabolismo proteico». Calava di 1 kg al giorno. Per salvarlo sarebbe stato sufficiente un farmaco che desse vigore al battito del cuore. «Poteva bastare un po’ di acqua con zucchero, forse». Invece gli diedero acqua semplice.
Così la degenza di Cucchi si è trasformata in un incubo. Lui rifiutava le terapie e anche il cibo per protesta, perchè nessuno lo metteva in contatto col suo avvocato. L’ospedale ha rifiutato lui. «E la sua morte è arrivata dopo cinque giorni di vera agonia».