giovedì 9 giugno 2016

La Stampa 9.6.16
Dieci giorni di campagna per i ballottaggi
E il premier “congela” il referendum
L’obiettivo è non irritare gli elettori di sinistra e portarli al voto nelle grandi città Bersani avverte Fassina: attenti, a intercettare la rabbia sono i grillini e non voi
di Carlo Bertini

Punto numero uno, silenziare il referendum fino ai ballottaggi, perché il tema certo non aiuta a ricompattare le file della sinistra: sono proprio quelli gli elettori che dall’esame dei flussi sono rimasti per la metà a casa in molte zone d’Italia e che vanno recuperati ad ogni costo. È uno dei capisaldi della strategia di Matteo Renzi per provare a superare con meno danni possibile questi dieci giorni cruciali. Considerati ad alto rischio, perché tutte le sfide nelle grandi città preoccupano, nessuna esclusa: visto che la «grande alleanza» anti Renzi può materializzarsi ovunque, «l’accordo tra 5stelle e Salvini mi sembra abbastanza esplicito, si vedrà a Roma, Milano, Torino e pure a Bologna», scuote il capo Matteo Orfini. Malgrado tutto, il leader e i suoi preferiscono dire che la scalata di terzo grado è solo quella della Capitale, che le altre sono tutte fattibili. I segnali di questo dogma trasmesso dal vertice alla periferia - congelare la campagna referendaria che ora non aiuta - sono molteplici. Non ultimo il fatto che del Comitato nazionale per il Sì, della sua composizione e delle sue iniziative, che hanno riempito le pagine dei giornali per giorni, non si sente più parlare, per ora «è tutto congelato».
Bersani e Feste dell’Unità
Anche se il leader a domanda risponde e difende in tivvù la sua riforma, quando può glissa consapevole che il nervo referendum per ora è troppo scoperto: basti pensare che oggi Bersani scenderà in piazza a Bergamo per intimare che le Feste dell’Unità non vengano utilizzate per la campagna del Sì, altrimenti da Feste dell’Unità si trasformerebbero in feste della divisione. Un avvertimento bello e buono da parte di chi è poi convinto che la sinistra non intercetta la rabbia e che ad avvantaggiarsene sarà il centrodestra che si riorganizzerà come ha fatto a Milano. «Quando vado a fare i comizi, la gente mi viene a sentire, ma poi guardandoli capisco che votano per i grillini e non per voi», raccontava ieri ai compagni Fassina e D’Attorre in un capannello alla Camera. Un Bersani preoccupato che da questa tornata più che il fenomeno Raggi, possa uscire un centrodestra vincente e che in prospettiva sia quello il pericolo maggiore da contrastare. Dunque, se si devono convincere gli elettori di sinistra più perplessi sulla riforma costituzionale ad uscire da casa il 19 giugno, gli unici banchetti Pd che prenderanno forma saranno quelli del «funerale della Tasi», giovedì 16, il «no Imu day» del Pd: «Ora tutti ventre a terra per le sfide nelle città», conferma il vicesegretario Guerini, senza far cenno al referendum.
I target, i temi e le piazze
Punto numero due, individuare i target da provare a convincere: come i pensionati e i giovani sotto i trent’anni. Senza dimenticare le migliaia di dipendenti pubblici che gravitano a Roma: tanto che ieri la Madia ha annunciato che si è alla vigilia dopo anni, della riapertura della stagione contrattuale. Promettendo «regole chiare sul salario accessorio e niente penalizzazioni a scapito dei dipendenti pubblici». Parole che devono risuonare forti e chiare in una fetta consistente di elettorato che può far la differenza.
E oltre alla sinistra, anche la destra viene considerato un bacino dove pescare a Roma: visto che a differenza di Salvini la Meloni non ha fatto endorsement per la Raggi, lasciando carta bianca ai suoi aficionados, al pari di Marchini. E se su quel fronte il tasto da battere sarà quello della sicurezza, i temi da brandire come armi anti-grillini, nella Capitale sono quelli delle sfide a fare le cose. E sarà predominante quello delle Olimpiadi, tanto che oggi Renzi inaugurerà la nuova sede della Federazione Italiana Pallavolo per tenere alta l’attenzione. A Palazzo Chigi sta prevalendo l’idea di far svolgere una campagna più legata ai territori, lasciando ai candidati la scelta se fare iniziative col premier: «A Torino meglio far venire Bersani che Renzi in questa fase», spiega un esperto di flussi come Giacomo Portas dei Moderati. E anche a Bologna il leader non dovrebbe andare, mentre Giachetti e Sala a Milano lo vogliono accanto nel rush finale.