giovedì 9 giugno 2016

La Stampa 9.6.16
Il business dei trafficanti di uomini
di Arturo Varvelli*

L’arresto del cittadino eritreo permette di avere uno scorcio sul quadro in cui operano i trafficanti di essere umani in Nord Africa e in particolare in Libia e di cogliere come la presenza di 007 in questa area, destinata a operazioni di contro-terrorismo possa avere anche compiti di contrasto al traffico di esseri umani. La cattura è il risultato di una collaborazione tra i servizi segreti del Sudan, dove è stato arrestato, con gli inglesi della National crime agency, dello Sco della polizia e delle Squadre mobili della Sicilia occidentale su ordine di cattura della Procura di Palermo.
Nonostante si sia registrato un afflusso di migranti provenienti dall’Egitto nelle ultime settimane, la Libia continua a essere centrale. Il Paese si presenta oggi come una sorta di puzzle composto da decine di milizie. Il sorgere di svariati micro-gruppi di potere con un controllo territoriale circoscritto è una delle principali difficoltà nella ricomposizione unitaria del paese. I nuovi signori della guerra libici si foraggiano in buona parte con i traffici illeciti che i miliziani conducono o, meglio, permettono: esseri umani, armi, beni sovvenzionati, greggio, droga, sigarette, talvolta alcool e beni farmaceutici. Come spiegato da un report dell’United States Institute for Peace, che ha mappato rotte e attori coinvolti, ogni volta che si passa in un territorio controllato da una milizia i trafficanti pagano una «tassa».
Secondo fonti di intelligence italiane sarebbero più di 20 mila i miliziani direttamente coinvolti nei traffici illeciti, in particolare quelli umani. Un indotto che è destinato a crescere se non verrà ricomposto il quadro politico. Uno studio del Global Initiative Against Transnational Organized Crime dello scorso anno calcolava che il valore del traffico dei migranti in Libia era passato da 8/20millioni di dollari del 2010 ai 255-323 del 2014. Va considerato che la sicurezza nelle strade delle maggiori città libiche è garantita da accordi instabili tra le milizie (alcune si auto-definiscono come unità anti-crimine) e le rimanenti forze di polizia: un contesto di corruzione che garantisce ampia impunibilità ai delinquenti. Se, come alcuni osservatori internazionali stimano, la Libia collassasse anche economicamente, vista la ridotta capacità di esportare greggio e i bassi prezzi del petrolio, l’unica fonte di sostentamento delle milizie rimarrebbero i traffici clandestini e il racket derivante dal controllo territoriale, contribuendo ulteriormente all’incancrenirsi di questa situazione.
In questo contesto è operativa la missione navale europea a guida italiana EuNavFor Med, ribattezzata operazione «Sophia», e finalizzata al contrasto al traffico di esseri umani nel Mediterraneo, ma anche, più informalmente, al monitoraggio dei gruppi islamico-radicali in Libia e ai loro movimenti. Attualmente, l’operazione è condotta esclusivamente in acque internazionali, ma potrebbe potenzialmente passare a operare all’interno delle acque territoriali libiche. Questo passaggio prevede però la richiesta formale di intervento da parte del governo di unità nazionale libico, ma anche una significativa capacità intelligence, assicurata al momento dalla presenza di specifiche unità sul terreno di diversa nazionalità, come ampiamente documentato da diversi media internazionali.
I gruppi fondamentalisti sono naturalmente presenti lungo le rotte del traffico di esseri umani. Lo erano in particolare a Sabratha, città costiera della Tripolitania, prima del bombardamento statunitense del febbraio scorso. Qui il gruppo locale di Isis composto in buona parte da tunisini, adottava un atteggiamento ben diverso rispetto all’attuale capitale del «Califfato» in Libia, Sirte: nessuna proclamazione, nessuna uccisione simbolica di miscredenti, ma un mimetismo che permetteva loro di beneficiare del fatto che Sabratha sia uno dei principali hub per il traffico di migranti verso l’Europa attraverso il Mediterraneo.
Nel Migration Compact proposto dall’Italia, di cui questa operazione potrebbe sembrare un anticipo, vi è l’idea della necessità di una cooperazione rafforzata con i Paesi di transito e origine dell’immigrazione (per es. Sudan, Etiopia and Eritrea) in diversi campi - in primis il controllo delle frontiere e il contrasto al traffico degli esseri umani - che sono al contempo essenziali per limitare i finanziamenti dei gruppi terroristici che operano nell’area, come Isis e Aquim.
* Responsabile Osservatorio Terrorismo Ispi