Corriere 9.6.16
Nell’accampamento dei disperati che raccolgono arance per 3 euro l’ora
«Struttura da smantellare». Ma mancano fondi e il Comune è sciolto per mafia
di Giovanni Bianconi
L’
inverno scorso, nella stagione degli agrumi, erano arrivati a mille,
stipati nella tendopoli; adesso circa la metà è andata a raccogliere
pomodori altrove, e sono rimasti in poco più di 400. Quasi tutti con lo
status di rifugiati, o in attesa di ottenerlo: cittadini ormai
stanziali, a dispetto di sistemazioni che dovrebbe essere temporanee per
definizione; e senza diritti, nonostante non siano né clandestini né
abusivi. «La percentuale di popolazione straniera dotata di regolare
permesso di soggiorno è andata aumentando, ma tale tendenza si scontra
con un’organizzazione del lavoro caratterizzata in modo strutturale da
lavoro nero, sottosalario e caporalato», denuncia l’ultimo rapporto di
Medu, l’associazione Medici per i diritti umani che da anni monitora la
situazione nei campi di Rosarno e San Ferdinando.
La raccolta
delle arance viene pagata in media 25 euro al giorno (circa 3 euro
all’ora), al lordo delle trattenute per il trasporto nei campi: prima
imperavano il caporalato e il cottimo, adesso prevalgono assunzioni in
nero o fasulle (a volte intestate a italiani che accumulano i contributi
senza fare nulla, mentre a lavorare vanno molti neri africani e pochi
bianchi dell’Est europeo). Un lavoro che comincia all’alba e finisce al
tramonto, quando si torna nell’accampamento, dove forse finisce lo
sfruttamento ma prosegue un’esistenza degradata.
A sostenerlo non è
soltanto un’organizzazione autonoma come Medu, ma il rappresentante del
governo: il prefetto di Reggio Calabria Carlo Sammartino, che a
febbraio ha approvato un «protocollo di accoglienza e integrazione degli
immigrati nella Piana di Gioia Tauro» con l’obiettivo di smantellare la
tendopoli. Proprio in virtù di una presenza tanto massiccia quanto
stabile dei rifugiati che lavorano e producono reddito. L’importanza di
quel documento — firmato anche da rappresentati degli Enti locali, della
Croce Rossa, della Chiesa, insieme a Caritas, Emergency e Medu — sta
nelle premesse, prima ancora che nelle soluzioni. Perché è lì che,
nonostante il linguaggio apparentemente asettico, è descritta
l’intollerabilità del contesto.
Occorrono «linee di intervento per
il superamento della condizione di precarietà abitativa e
igienico-sanitaria in cui versa un consistente numero di lavoratori
extracomunitari», si legge. E più avanti: «Una tendopoli è stata
dismessa, ma nell’altra, ancora operante, si registrano condizioni di
degrado, anche sotto il profilo igienico-sanitario, nonché altre
carenze». Infine: «La particolare situazione in cui versano gli
immigrati presenti in quel territorio impone interventi non più
procrastinabili al fine di garantire la fruizione di servizi essenziali
agli immigrati e favorire una piena integrazione degli stessi».
Di
qui la decisione di«assicurare, nell’immediato, la riconduzione di San
Ferdinando a condizioni di maggiore vivibilità e sicurezza, mediante
interventi di bonifica, sostituzione delle tende e degli apparati
deteriorati»; e successivamente, «smantellare l’attendamento, mediante
l’individuazione e celere realizzazione di politiche attive di
accoglienza e integrazione nel tessuto sociale e locale». Tradotto dal
burocratese, significa che i rifugiati non possono più vivere negli
accampamenti, che devono scomparire, perché hanno diritto
all’accoglienza in case normali. Ma siamo ancora alla prima fase
dell’intervento: per trovare le abitazioni servono soldi (che non
bastano mai) e scelte politiche non facili da parte di Regione e Comuni.
Nella
Piana la presenza dei «neri» è una miscela che di tanto in tanto
esplode, e per gli amministratori locali risulta complicato e scomodo,
occuparsene. Nel 2010 ci fu la rivolta dei migranti, seguita a ripetuti
episodi di aggressioni e violenze nei loro confronti, che a sua volta
scatenò la contro-rivolta dei locali (esasperati anch’essi da una
condizione sociale non certo invidiabile), con venature razziste e
sospette infiltrazione mafiose. Il risultato fu lo sgombero delle ex
fabbriche in cui i rifugiati erano costretti a vivere in condizioni non
troppo differenti da quelle degli animali nelle stalle. Si passò alle
tendopoli, ma a San Ferdinando, nel 2013, il sindaco ne ordinò la
rimozione. Dopo pochi mesi il governo nazionale rimosse lui, arrestato
per concorso con la ‘ndrangheta: il Comune fu sciolto per mafia ed è
tuttora commissariato. Gli extracomunitari sottopagati per raccogliere
arance hanno cambiato accampamenti, ma senza che la situazione
migliorasse di molto. Al punto da far scrivere, nel rapporto Medu, che
«di stagione in stagione sembra consolidarsi una vera e propria
sospensione della dignità e dei diritti per i lavoratori immigrati,
radicata in un contesto dove tutta la popolazione deve ancora troppo
spesso subire la pervasiva e capillare presenza della criminalità
organizzata, a cui si associano gli effetti perversi della malapolitica e
del sottosviluppo economico».