La Stampa 8.6.16
Crac Sanità, tra dieci anni costerà almeno 200 miliardi
Un rapporto al Senato: per sostenere l’invecchiamento della popolazione e l’innovazione servirà il doppio di oggi
di Paolo Russo
Con
 un fardello da oltre 24 miliardi di sprechi il nostro servizio 
sanitario nazionale rischia di collassare da qui a dieci anni, quando, 
per sostenere costo dell’innovazione e invecchiamento della popolazione 
di miliardi ne occorreranno 200. Quasi il doppio di quelli stanziati 
oggi, comunque 30 in meno di quello che potrà essere il finanziamento se
 i tassi di crescita programmati dal governo resteranno questi.
Più
 stanziamenti pubblici non freneranno comunque il boom della spesa 
privata, destinata a lambire quota 45 miliardi, dieci in più di quelli 
che spendiamo oggi per curarci.
Le stime
A far scattare 
l’allarme con una valanga di stime e proiezioni è il rapporto presentato
 ieri al Senato dalla Fondazione Gimbe, che promuove l’appropriatezza 
delle cure basate sulle evidenze scientifiche. Quello che servirebbe più
 di ogni altra cosa per evitare che il nostro sistema sanitario faccia 
crac. Al capitolo sprechi infatti la voce più sostanziosa, quasi 7 
miliardi e mezzo, è quella del “sovra-utilizzo” delle prestazioni. 
Troppe tac e risonanze, visite specialistiche, farmaci e parti cesarei, 
ai quali si ricorre anche quando non serve. Frodi e abusi equivalgono 
invece a una tangente da quasi 5 miliardi, mentre 2,7 è il costo delle 
lungaggini burocratiche, 3 il mancato coordinamento dell’assistenza, 3,2
 l’onere degli eccessivi prezzi d’acquisto, mentre altri 3,5 miliardi se
 ne vanno via per lo scarso utilizzo di forme di assistenza che 
farebbero risparmiare, come day hospital, vaccinazioni, screening 
preventivi e utilizzo dei più economici farmaci generici. E a proposito 
di medicinali, «i costi fino a un milione delle nuove terapie anticancro
 - secondo il presidente di Gimbe, Nino Cartabellotta- impongono di 
fissare i prezzi in base a quello che gli economisti chiamano con 
termine anglosassone “value”, ossia il rapporto tra costi e risultati in
 termini di salute». Che, come i dati rilevati sul campo mostrano, non 
sempre corrispondono ai prezzi delle pillole d’oro.
Lotta agli 
sprechi quindi in testa al ricettario Gimbe anti-crisi. Ma anche più e 
meglio qualificata sanità integrativa. Perché un conto è pagare una 
polizza o la quota a un Fondo. Altra cosa trovarsi da soli ad affrontare
 costi sanitari che possono diventare esorbitanti. I fondi integrativi 
oggi coprono oltre 7,4 milioni di italiani, ma servono più che altro a 
garantire le cure odontoiatriche.
I vantaggi fiscali
Questo 
perché per ottenere il vantaggio fiscale della detraibilità dal reddito 
non possono coprire le spese per prestazioni nominalmente garantite dal 
servizio pubblico. Ossia per aggirare le liste d’attesa su visite, 
accertamenti e ricoveri i fondi non servono ma si deve pagare di tasca 
propria. E infatti secondo il Censis la maggioranza di quei 30 miliardi 
di spesa privata se ne va così. Potrebbero venire in soccorso le polizze
 assicurative, abilitate a coprire anche prestazioni garantite dall’Ssn.
 Ma per chi le sottoscrive niente vantaggi fiscali e imposta del 2,5% 
rendono tutto più oneroso, anche se un milione e mezzo di famiglie ha 
una polizza. Tirate le somme la sanità integrativa da noi copre solo il 
13% della spesa sanitaria privata, quota inferiore di oltre il 40% al 
resto d’Europa.
Anche i ticket potrebbero fare la loro parte per 
sostenere il servizio pubblico. Oggi valgono meno di 3 miliardi su 111 
di spesa pubblica, ma sono distribuiti male, visto che oltre la metà 
degli italiani non li paga e sembrano sempre più una giungla. Con costi 
che vanno dai 60 euro di media in Veneto ai poco più di 30 in Sardegna. 
Frutto di un federalismo sanitario sul quale il Governo ha già deciso di
 mettere mano.
 
