martedì 7 giugno 2016

La Stampa 7.6.16
Un milione di elettori senza candidati
Al ballottaggio faranno la differenza
A destra e a sinistra parte la caccia ai voti di chi non ha più un rappresentante
di Ugo Magri

Se il paragone non suonasse cinico nei confronti di chi soffre e chiede asilo, verrebbe da dire che il voto di domenica ha prodotto in Italia almeno un milione di rifugiati politici. Cioè di elettori che il 19 giugno non sanno bene dove accasarsi perché il loro candidato-sindaco è stato escluso al primo turno. Con una differenza rispetto ai rifugiati veri: quelli (purtroppo) nessuno li vuole, mentre questi elettori senza più padrone saranno corteggiatissimi. Vincerà i ballottaggi chi ne adotterà il maggior numero perché sulla carta i voti senza bandiera potranno fare la differenza. Due conti bastano a capire perché.
I senza bandiera
A Roma, tra la Raggi e Giachetti, ci sono 133 mila voti di differenza. Tanti, senza dubbio. Ma la massa degli «sfollati» (elettori di Marchini, di Fassina e della Meloni) è tre volte più grande. I soli votanti del centrodestra a Roma sono 406 mila. Volendo, farebbero la differenza. Stessa cosa a Torino dove gli elettori in libera uscita sono circa 85 mila, il doppio dello scarto tra Fassino e Appendino. Anche qui, la destra potrebbe risultare decisiva. Invece a Milano, dove si sfidano Sala e Parisi, e meno di 5 mila voti li dividono, a fare da ago della bilancia saranno soprattutto 52 mila seguaci di Grillo. Il candidato berlusconiano Parisi già sta provando a sedurli con promesse di trasparenza e legalità. Qualcuno vede le condizioni ideali per qualche scambio sottobanco, tipo il sostegno del centrodestra a Raggi e Appendino in cambio di quello M5S a Parisi. Che può prendere la forma seguente: Salvini e la Meloni invitano a non votare il renziano Giachetti (già stanno cominciando), e qualche grillino si diverte a bersagliare Sala. Più facile dirlo che farlo, tuttavia. E non solo perché Berlusconi rifiuta di scegliere tra sinistra e grillini esortando a votare scheda bianca. La verità è che, come conferma Ipr Marketing in una ricerca sui flussi elettorali svolta per Vespa, gli elettori si regolano come gli pare, infischiandosene dei «padrini».
Migrazioni tra partiti
Un esempio: alle Europee del 2014, il Pd prese a Roma 506 mila voti. Stavolta sono stati solo 270 mila. Secondo Ipr, addirittura il 28,4 per cento è andato ai Cinquestelle, l’8 per cento alla Meloni. Altro esempio illuminante: degli elettori forzisti alle scorse Europee, solo il 28,4 per cento ha dato ancora retta a Berlusconi votando Marchini. Gli altri hanno puntato su Meloni e sulla Raggi. A parti invertite, gli elettori grillini del 2014 hanno premiato per il 20 per cento Parisi e per il 15 Sala. A Torino, almeno un quinto di quanti votarono Fassino sono passati con la sua rivale. Eppure, secondo uno studio molto quotato a Palazzo Chigi, i Cinque stelle non hanno fatto molti progressi. Nei 18 Comuni capoluogo dove si è presentato, il movimento supera quota 20 per cento solo in 3 casi, tra cui appunto Torino e Roma. In media, il 15,5 dei voti contro il 34,3 del Pd più alleati. E guai a sottovalutare Berlusconi, ammonisce Renzi personalmente. Qui soccorre un’analisi molto puntuale dell’Istituto Cattaneo. Da cui si apprende che il centrodestra nel suo complesso perde 7 punti rispetto al 2011, è vero, ma ne guadagna 4 rispetto a tre anni fa. Insomma, contrariamente alle apparenze è in ripresa. Mentre M5S fa boom in confronto al 2011 (anche perché in alcuni Comuni non si era presentato), però perde 4 punti dalle ultime Politiche. Le Cinque stelle splendono ma non sono ancora il sol dell’avvenire.