martedì 7 giugno 2016

La Stampa 7.6.16
Cuperlo: sono emersi il disagio e il dissenso del nostro popolo
“Non si può derubricare questo insuccesso a questioni locali”
intervista di Francesca Schianchi

«Grazie a chi ha scelto il centrosinistra e ai candidati che continuano a battersi», è il preambolo del discorso di Gianni Cuperlo, tra i leader della minoranza Pd, già sfidante di Renzi all’ultimo congresso. Prima di fare la sua analisi dell’esito delle urne.
Che risultato è stato per il Pd?
«Insufficiente per le percentuali e i numeri assoluti. Derubricare tutto a questioni locali non aiuta a capire e a recuperare consenso, anche in vista dei ballottaggi che si possono vincere a patto di parlare la giusta lingua».
Mi sembra di capire che non è d’accordo con Renzi che esclude si possa parlare di voto nazionale...
«Si è votato per eleggere i sindaci, questo è chiaro. Ma nel voto si è espresso anche il disagio e il dissenso di un pezzo del nostro elettorato. Non vederlo può confortare gli animi ma non fa risalire il consenso».
Lei disse a Renzi: «Hai chiesto il voto per fare il segretario ma non lo stai facendo, non hai la statura del leader ma l’arroganza dei capi». Da segretario come ha gestito queste elezioni?
«Ho detto moratoria per primo, e fino ai ballottaggi moratoria voglio che sia. Mi sono speso nella campagna elettorale. Il voto però conferma che il Pd e il centrosinistra vincono e convincono quando ricostruiscono il loro perimetro».
Ora Renzi annuncia il commissariamento di Napoli per dare «un segnale» ai territori: buona notizia?
«Ripeto, la discussione seria e vera andrà fatta dopo perché adesso contano di più i destini di Torino e delle altre città dove la sfida è aperta. Dico solo che l’elenco dei commissariamenti comincia a farsi lungo, e dopo il voto è più che maturo il tempo di un tagliando su come si guida il principale partito del paese».
Per quanto riguarda Napoli, Renzi ha alluso a «alleanze che non hanno funzionato»: siete stati facili profeti su Verdini?
«Ma non serviva il mago Otelma. L’idea che un partito possa stringere qualunque alleanza basta che aiuti a vincere, è due volte sbagliata. Primo perché se rinunci a quello che sei, una parte dei tuoi non ti voterà più; secondo perché senza i voti dei tuoi, molto semplicemente, non vinci».
Le polemiche e l’alto tasso di rissosità interna possono aver influito sui risultati?
«Non scambiamo lucciole per lanterne. Abbiamo fatto la campagna elettorale ovunque e senza la sinistra del Pd in diverse realtà ora il traguardo sarebbe assai più lontano».
Secondo lei c’è un legame tra questo voto e gli schieramenti del referendum di ottobre o no, come dice Renzi?
«Con una battuta ho detto che giugno viene prima di ottobre e che non aveva senso anticipare la campagna sul referendum nel cuore di un’altra sfida per di più difficile come questa. Se l’obiettivo era ed è allargare il consenso, la logica suggeriva e suggerisce toni, linguaggio e priorità diversi».
Ora ai ballottaggi che fare? Corteggiare la sinistra fuori dal Pd?
«Ora il Pd rilanci le ragioni di un centrosinistra di governo: oggi nelle città, domani nel paese. Alcune sfide sono più difficili, ma la condizione per vincere è non vestire i panni degli altri».
Dal risultato di Fassina a Roma a quello di Airaudo a Torino, queste elezioni segnalano che fuori dal Pd la nistra non ha spazio?
«A Torino e Roma hanno avuto un risultato molto fragile. Altrove meno, e Zedda a Cagliari vince al primo turno. Dico anche a loro che la sfida di una sinistra di governo non si affronta senza o contro il Pd. In questo il voto è materia di riflessione per tutti, e per me vuol dire una volta di più abbattere steccati e gettare ponti».