La Stampa 7.6.16
“Migranti economici come profughi”
Il giudice che dà la protezione ai poveri
Un’ordinanza del Tribunale di Milano: hanno gli stessi diritti
di Laura Anello
Sei
povero? Hai diritto a essere accolto in Italia. Cita la Dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo il giudice del Tribunale di Milano
Federico Salmeri a sostegno dell’ordinanza con cui concede a un
ventiquattrenne del Gambia il permesso di soggiorno in virtù della
protezione umanitaria. Permesso che era stato rifiutato dalla
Commissione territoriale. «Ogni individuo ha il diritto a un tenore di
vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della
sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario,
all’abitazione, alle cure mediche e ai servizi sociali essenziali».
Un
principio tanto semplice quanto rivoluzionario: la povertà è condizione
sufficiente a restare, alla stregua di guerre e persecuzioni.
Un’ordinanza
che da Milano rimbalza tra gli operatori umanitari di Lampedusa,
offrendo uno spiraglio ai cosiddetti migranti economici, per i quali
finora sono fioccati i respingimenti. Cosa di cui il giudice (della
prima sezione civile) è pienamente consapevole. Non importa - scrive -
che quest’interpretazione apra al rischio di un riconoscimento di massa
della protezione umanitaria. «Si badi infatti - spiega - che il
riconoscimento di un diritto fondamentale non può dipendere dal numero
di soggetti cui quel diritto viene riconosciuto. Per sua natura, un
diritto universale non è a numero chiuso».
Così il giovane
gambiano ha diritto a restare in Italia regolarmente. Anche se il
tribunale non ha creduto alla storia che lui ha raccontato, quella di
essere perseguitato nel suo Paese per motivi politici, in quanto
militante del partito antigovernativo Udp. Però, obietta il giudice,
anche se il ragazzo non è a rischio per la guerra, è a rischio per la
fame. Proprio in virtù di questo, Salmeri non gli riconosce né lo status
di rifugiato (rivolto a chi subisce atti di persecuzione per motivi di
razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo
sociale o opinione politica) né lo status di protezione sussidiaria, che
si concede a chi - rientrando nel proprio Paese - rischi di essere
condannato a morte, torturato o coinvolto in una guerra.
No, quel
giovane deve essere accolto semplicemente perché in Gambia c’è una
povertà tale da esporlo a una condizione di «vulnerabilità», parola
citata in diverse pronunce della Corte di Cassazione: l’aspettativa di
vita è di 59,4 anni (in Italia 82), il Pil pro capite di 1600 dollari
(in Italia 35 mila), esiste una «stagione della fame» che dura ogni anno
da due a quattro mesi. E chi, tra i disperati sui barconi non è
vulnerabile? Quale madre incinta? Quale padre senza cibo da dare ai
figli? Quale bambino solo? Il fatto stesso che si mettano in viaggio,
dice il giudice, dimostra che non hanno altra possibilità. «Apparirebbe
infatti contraddittoria e inverosimile - obietta il giudice - la scelta
del ricorrente di percorrere un viaggio così tanto lungo, incerto e
rischioso per la propria vita, se nel Paese di origine godesse di
condizioni di vita sopra la soglia di accettabilità». Il rimpatrio? «Lo
porrebbe in una situazione di estrema difficoltà economica e sociale,
imponendogli condizioni di vita del tutto inadeguate, in spregio agli
obblighi di solidarietà nazionale e internazionale».