La Stampa 6.6.16
L’incubo migranti spinge la Brexit
Si muove la Banca d’Inghilterra
Il fronte anti-Ue avanti nei sondaggi, scontro violento fra i conservatori
Pronto un fondo d’emergenza per tutelare la tenuta degli istituti di credito
di Alessandra Rizzo
Alle
prime avvisaglie di rimonta del fronte Brexit, Lynton Crosby, stratega
della vittoria dei conservatori alle ultime elezioni, l’aveva detto:
«Insistere sempre più sul mancato controllo dell’immigrazione sta dando i
suoi frutti». Ora siamo a meno di tre settimane dal referendum e il
numero di britannici favorevoli ad un divorzio dall’Unione europea,
secondo i sondaggi, continua a crescere. E con esso sale la
preoccupazione: secondo il «Guardian», la Banca d’Inghilterra sta
mettendo a punto un fondo di emergenza di miliardi di sterline per
consentire alle banche di tutelarsi in caso di Brexit, una mossa per
evitare un eventuale caos.
L’ultimo sondaggio, pubblicato dal
domenicale «The Observer», dà il fronte del No all’Europa al 43% contro
il 40% del campo Remain (il 14% è indeciso). I fautori della permanenza
nella Ue hanno perso quattro punti nelle ultime due settimane, mentre il
fronte Brexit ne ha guadagnati tre. A rendere le cose più preoccupanti
per David Cameron, il 41% degli interpellati considera l’immigrazione
uno dei fattori determinanti per decidere come votare al referendum del
23 giugno, mentre il 29% cita i rischi all’economia, punto forte della
strategia Remain. Nonostante le riserve necessarie (visti gli errori
alle ultime elezioni), i sondaggi degli ultimi giorni sembrano puntare
verso un’avanzata del fronte Brexit, quando non un sorpasso.
Cosa è
successo nelle ultime due settimane per determinare l’inversione di
tendenza? Una campagna martellante sugli immigrati, aiutata dalla
pubblicazione dei nuovi dati sull’immigrazione netta, salita a 330mila
nel 2015, il secondo livello più alto mai registrato. Poi è bastato
l’avvistamento di un gommone nella Manica con venti migranti a bordo per
far scattare l’allarme scafisti, anche a causa di una stampa populista
che non esita a parlare di invasione imminente. Secondo il «Sunday
Times», la polizia di frontiera avrebbe chiesto aiuto alla Marina per
pattugliare il canale della Manica. Un eventuale intervento darà fiato
ai «Brexiteers».
Non è ancora il momento del panico per Cameron,
ma il nervosismo è palpabile. La settimana scorsa, nel corso di un
dibattito televisivo, il premier è stato messo in difficoltà da un
pubblico furioso che gli ha dato dell’allarmista per come descrive le
conseguenze economiche della Brexit. Nel momento forse peggiore per lui,
una studentessa lo ha interrotto e accusato di parlare a vanvera. È
stato un Cameron sulla difensiva, che ha insistito sui rischi economici.
Mentre i suoi rivali nel referendum, Tory come lui, sono all’attacco, e
poco importa che divisioni sempre più profonde stiano lacerando il
partito conservatore: in ballo c’è il futuro del Paese (nonché le sorti
del governo e del primo ministro). Michael Gove, che del governo Cameron
è ministro, e l’ex sindaco di Londra Boris Johnson dicono che, in tema
di immigrazione ed Europa, di Cameron non ci si può fidare. Propongono
un sistema di immigrazione a punti per stabilire chi entra, come fanno
in Australia; e promettono di investire 100 milioni di sterline a
settimana nel sistema sanitario nazionale, gloria del welfare britannico
che si sta sgretolando sotto pressioni sociali e anni di austerity. E
pazienza se perfino John Major, l’ex premier conservatore, li accusa di
mentire e chiama Johnson un «giullare». Gove, apparso in Tv la sera dopo
Cameron, ha ripetuto: «Riprendiamoci il controllo». Controllo delle
frontiere, della produzione, del commercio, insomma del Paese. È stato
evasivo sui numeri e non ha saputo fare il nome di un solo economista
pro-Brexit, ma il suo messaggio è stato udito forte e chiaro. Cameron ha
dalla sua la City, le banche, le grandi istituzioni finanziarie, gli
alleati internazionali. Ma il vento anti-establishment che soffia per
l’Europa potrebbe spingere in direzione della Brexit. Per dirla con
Gove: «Loro stanno con le élite, noi con la gente normale». Molto può
ancora succedere fino al 23 giugno: un fronte Remain impaurito può
riuscire a mobilitare gli elettori, e lo stesso può fare un Labour
finora rimasto in disparte. E il numero di indecisi è ancora alto.