lunedì 6 giugno 2016

Il Sole 6.6.16
Verso il referendum
Brexit, un esame di democrazia
Ue o non Ue: la scelta si gioca tra razionalità economica e passione popolare
di Jean Pisani-Ferry

Se gli elettori del Regno Unito decideranno di lasciare l’Unione europea con il referendum del 23 giugno non sarà per ragioni economiche. Potrebbero infatti optare per la Brexit perché vogliono la piena sovranità, perché odiano Bruxelles oppure perché vogliono che i migranti tornino a casa loro, ma non perché si aspettano dei grandi vantaggi economici.
All’inizio i sostenitori della Brexit sembravano avere due carte vincenti in mano legate all’economia. La prima riguardava il rifiuto schiacciante da parte dei cittadini britannici al trasferimento fiscale netto dal paese al resto della Ue, attualmente pari allo 0,4% del Pil. Da quando il primo ministro Margaret Thatcher chiese per la prima volta «i soldi indietro» nel 1979, i costi di bilancio dell’appartenenza alla Ue hanno del tutto offuscato i benefici economici agli occhi dell’opinione pubblica.
La seconda carta vincente era invece legata al pessimo stato dell’economia europea. In termini di crescita di Pil, occupazione o innovazione, gli altri paesi europei sono infatti mediamente indietro rispetto al Regno Unito (e ancor di più rispetto agli Usa). Quindi, se un tempo l’appartenenza alla Ue era vista come una porta d’accesso alla prosperità, ora è sempre più considerata come un freno al progresso.
Tuttavia negli ultimi tempi, come ha affermato John Van Reenen della London School of Economics, il caso economico a favore della Brexit non è stato ben tradotto in termini pratici. I suoi sostenitori sono infatti in difficoltà a spiegare quale tipo di accordi commerciali e di partnership (se ve ne sono) il Regno Unito potrebbe stringere con la Ue, e ancor di più a spiegare quanto questi eventuali accordi sarebbero superiori a quelli attuali. Di conseguenza, è difficile affermare che, lasciando la Ue, il Regno Unito avrà una forte spinta economica, così come sostenere che non soffrirà in modo significativo.
Delle otto valutazioni economiche analizzate dall’Institute for fiscal studies, un istituto di ricerca indipendente altamente rispettato, solo una sostiene che lasciando la Ue il Regno Unito avrebbe dei vantaggi economici consistenti. Questo studio, prodotto prevedibilmente da economisti a favore della Brexit, è stato duramente criticato dal resto degli economisti per la mancanza di una base analitica adeguata.
Gran parte delle ricerche rivelano che il Regno Unito avrebbe grandi difficoltà una volta uscito dalla Ue. Gli esportatori britannici finirebbero per partecipare di meno al grande mercato della Ue e verrebbero estromessi da accordi negoziati in ambito Ue che danno accesso ai principali mercati internazionali. E se, da un lato, il Regno Unito potrebbe di certo negoziare dei nuovi accordi con questi partner, ci vorrebbe comunque del tempo e, agendo da soli, il potere di negoziazione sarebbe presumibilmente più debole.
Ciò significa che il Regno Unito avrebbe meno rapporti commerciali sia con i partner Ue che con i partner non UE e pagherebbe prezzi più alti per mezzi di produzione e beni di consumo. Inoltre, la ridotta integrazione delle aziende britanniche nella catena del valore globale indebolirebbe la sua produttività, mentre il costo in termini di Pil perso sarebbe da 5 a 20 volte superiore al risparmio implicito derivato dal mancato contributo al budget della Ue. Non si tratta di certo di un accordo allettante.
Tutte le analisi moderne di internazionalizzazione economica dimostrano che il commercio estero ha in sé un potente meccanismo di selezione e fornisce importanti opportunità di crescita per le aziende più produttive e innovative, permettendo loro allo stesso tempo di imparare dai competitori esteri. Non è un caso che le migliori aziende del mondo, con la produttività, i profitti e gli stipendi più alti e che investono nello sviluppo del capitale umano, sono campioni nel proprio settore commerciale. L’impatto negativo della Brexit sull’ambito dello sviluppo delle aziende britanniche aumenterebbe ancor di più il costo economico.
Queste argomentazioni sono state avanzate con fermezza in vista del referendum, ma non hanno tuttavia semplificato il dibattito su costi e benefici della Brexit. Ciò può in parte dipendere dal fatto che il dibattito non si è sviluppato in base alle linee di partito. I conservatori del primo ministro David Cameron sono infatti profondamente divisi sull’argomento, mentre il Labour Party di Jeremy Corbin sembra poco entusiasta nei confronti della Ue. Dato che la scelta non è tra destra e sinistra, le prospettive indipendenti hanno ottenuto un maggior peso.
Il referendum del 23 giugno è importante di per sé per le sue profonde implicazioni sul rapporto del Regno Unito con l’Europa, ma anche perché potrà impartire delle grandi lezioni. Se gli elettori britannici decideranno di lasciare la Ue, vorrà dire che le argomentazioni economiche razionali avranno avuto un peso minore del richiamo emotivo. Un simile risultato rafforzerebbe le forze populiste in altre parti del mondo (dall’Italia alla Francia fino agli Stati Uniti) nel loro sostegno alle politiche di isolazionismo che la maggior parte degli esperti considerano di fatto un controsenso economico. Per opporsi a queste forze e a queste politiche i principali partiti politici dovranno affrontare il proprio fallimento, pur avendo i fatti dalla loro parte, per offrire una narrativa sufficientemente valida al fine di convincere gli elettori a scegliere l’apertura economica.
Un voto da parte della maggioranza dei cittadini britannici a favore della Ue avrebbe d’altra parte l’effetto opposto ed evidenzierebbe che, per quanto negativi siano i sentimenti delle persone rispetto a una determinata politica o entità, la ragione e la logica non possono essere accantonate. Ugualmente importante è il fatto che un simile risultato potrebbe incoraggiare un’analisi maggiore delle conseguenze economiche dei programmi populisti negli Usa e nel resto dell’Europa.
Il 23 giugno è quindi in gioco non solo la relazione tra il Regno Unito e la Ue, o addirittura il futuro del “progetto europeo”. Il modo in cui i cittadini decideranno di votare sarà infatti un test importante per verificare se le scelte democratiche nei paesi avanzati sono governate dalla razionalità economica o dalla passione popolare.
(Traduzione di Marzia Pecorari)