La Stampa 5.6.16
Tremila morti in cinque mesi
L’anno nero del Mediterraneo
Unhcr: le condizioni di viaggio peggiorano. La rotta libica è la più pericolosa
di Francesca Paci
La
frequenza dei naufragi sulle rotte dei migranti si è fatta incalzante:
tre, uno dopo l’altro, la scorsa settimana, e l’ultimo venerdì a Sud
dell’isola di Creta, una sequenza di storie diverse che finiscono tutte
nel cimitero senza lapidi del Mediterraneo. Perché se è vero che, come
ripetono i soccorritori, il numero degli arrivi in Italia è pressoché
analogo a quello di fine maggio dello scorso anno, 47.820 contro 47.643
del 2015, sono i morti e i dispersi a balzare agli occhi di fronte alle
statistiche. A oggi, tra vittime recuperate e non, il Missing Migrants
Project calcola che manchino 2918 persone, 1090 in più rispetto a 12
mesi fa ma soprattutto solo 853 in meno del calcolo di fine 2015.
«È
evidente che il tasso di morti e dispersi è notevolmente aumentato»
conferma Barbara Molinario dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati
(Unhcr). I migranti ascoltati dall’Organizzazione internazionale per le
migrazioni (Oim) raccontano di una nuova tattica degli scafisti libici
che avendo recuperato dal macero giganteschi e fatiscenti barconi li
caricano all’inverosimile. Un’ipotesi non verificabile ma plausibile,
secondo l’Unhcr: «Le condizioni del viaggio stanno peggiorando. Oltre a
coinvolgere un numero massiccio di persone, i barconi pongono un secondo
grosso problema per via delle stive, talvolta addirittura a due
livelli, dove in caso di naufragio non c’è alcuna possibilità di
salvarsi. E le tragedie verificatesi nell’ultima settimana sono il
prodotto di classici ribaltamenti di grandi carichi».
Fino a un
annetto fa l’arrivo, non frequente, di un barcone di grossa taglia stava
a indicare la rotta egiziana, vale a dire quella più lunga, più costosa
e poco battuta dai disperati dirottati dai trafficanti verso la Libia.
Ora che alla guerra civile per l’eredità di Gheddafi si è aggiunta
l’offensiva dell’Isis le spiagge egiziane di Alessandria e Burg Mghizil
sono tornate a brulicare di scafisti e seppure gli sbarchi dall’Egitto
restano poco più del 10% del totale sono però decuplicati in pochi mesi.
Il governo egiziano pattuglia le coste, solo ieri la guardia costiera
ha arrestato 188 persone che provavano a imbarcarsi illegalmente in
direzione dell’Italia, ma la giornalista eritrea Meron Estefanos, che
dalla Svezia riceve al telefono le chiamate dei connazionali in mezzo al
mare, ci spiega come la paura dell’Isis stia spingendo in Egitto in
particolare gli eritrei, molti dei quali cristiani.
Ad eccezione
dei pochi temerari che si avventurano con piccole imbarcazioni dal
Marocco all’Andalusia (per evitare le blindatissime Ceuta e Melilla) o
delle piroghe di fortuna che salpano alla cieca dalla Mauritania o dal
Senegal, le rotte restano per il momento sostanzialmente due, quella
libica e quella egiziana ed entrambe puntano sull’Italia.
«I
migranti non vogliono più andare in Grecia, come prova la storia di
quelli soccorsi ad aprile e trasportati per forza a Kalamata» dice
Flavio Di Giacomo dell’Oim. A maggio, dopo l’entrata in vigore
dell’accordo tra Ankara e l’Unione europea, la guardia costiera turca ha
intercettato appena 1109 migranti intenti a provare la traversata verso
la Grecia contro gli 8530 di marzo (inoltre non ci sono state vittime
ad aprile e maggio laddove i primi 3 mesi dell’anno ne avevano viste
173).
Il dato però è che si continua a morire, più di prima. Gli
arrivi sono grossomodo gli stessi ma le partenze sono evidentemente
aumentate. E secondo voci di amici dei migranti soccorsi e adesso
ospitati nei centri di accoglienza, il trend non è in calo: si mormora
di almeno 5000 mila persone pronte a mettersi in mare dalla Libia in
questo weekend.