La Stampa 4.6.16
I tre temi che decideranno il futuro dell’Ue
di Franco Bruni
L’incertezza
e il disorientamento economico-politico sono la caratteristica del
momento, nel mondo, nell’Ue, in Italia. Si chiede crescita, si
raccomandano riforme, ma l’impatto della globalizzazione e della crisi
non ha ancora dato luogo ad agende di discussione adeguate a far piani
di lungo termine sostenuti da sufficiente consenso. Se guardiamo oltre
il breve termine, quali sono i temi di fondo attorno ai quali
organizzare le riflessioni, i dibattiti e le decisioni dei prossimi
anni?
Una possibile classificazione fa emergere tre temi: la
questione dei beni pubblici, la flessibilità nell’impiego delle risorse e
la sovrannazionalità dei poteri di governo. Siamo al confine fra la
politica economica e la politica tout court.
I beni pubblici sono
quelli la cui produzione e il cui utilizzo arrecano beneficio alla
collettività. In alcuni casi si tratta di beni indiscutibilmente
pubblici, come la difesa, la giustizia, al punto di essere indivisibili,
producibili solo dai governi, privi di un vero prezzo di mercato. Ma
molti beni e servizi possono considerarsi più o meno pubblici a seconda
di quale attenzione si presta al fatto che hanno conseguenze, più o meno
positive, anche su chi non li produce né li consuma direttamente:
l’istruzione, la salute, le regole di specifici settori di attività. Ma
anche, che so, il «silenzio»: devo comprarmelo con una gita in montagna
(bene privato) o lo ottengo dai vigili che multano le moto chiassose
(bene pubblico)? E via dicendo.
Parte della confusione economica,
politica, ideologica nella quale ci dibattiamo deriva dalla
trasandatezza con cui discutiamo quali siano i beni pubblici e quanto lo
siano. Anche l’appannato dibattito fra destra e sinistra dovrebbe
organizzarsi in questo senso: l’etichetta di «sinistra» potrebbe averla
chi dà grande importanza ai beni pubblici e pensa che molti beni siano
molto pubblici. Anche perché la produzione di beni pubblici è di per sé
redistributiva, attenua le diseguaglianze dei redditi e del benessere.
D’altra parte per definire pubblico un bene non servono solo le
preferenze politiche ma anche l’analisi oggettiva delle interdipendenze
fra chi li produce e utilizza: se non tengo conto che una crisi
dell’industria tedesca colpisce quella italiana, la stabilità economica
non è un bene pubblico dell’Unione. Dopodiché si dovrà decidere chi
produce i beni più o meno pubblici, e con quali regole, perché anche
quelli molto pubblici, dal servizio sanitario alle infrastrutture di
comunicazione, possono coinvolgere produttori privati.
Secondo
tema: poiché cambiano continuamente i gusti, le tecnologie, le geografie
politico-economico-culturali, il sistema dovrebbe essere pronto a
cambiare spesso la sua organizzazione e le sue produzioni. Ma cambiare
costa ed è spesso sgradito. Sicché occorre scegliere quanto flessibili,
plasmabili vogliamo siano le collocazioni delle persone e dei capitali.
Dobbiamo scegliere fra i benefici di rapidi cambiamenti, sopportandone i
costi o, viceversa, pagare i costi di maggiori rigidità godendone i
benefici. La complessità della scelta sta anche nel fatto che ci sono
vie di mezzo, compresa molta flessibilità temperata da grande
condivisione dei costi del cambiamento: se sei tu a dover cambiar
lavoro, perché l’economia nazionale sia più competitiva, sono disposto a
pagare anch’io i costi del tuo ricollocamento. C’è collegamento col
tema dei beni pubblici: chi ne ha gran considerazione sarà disposto a
consumar meno beni privati per finanziare questo misto di flessibilità e
sicurezza.
Il terzo tema centra la questione dell’interdipendenza
che riguarda anche i primi due: quanto potere vogliamo collocare in
sedi sovrannazionali per poter governare l’internazionalizzazione dei
nostri sistemi economico-sociali? Non è una scelta obbligata e ovvia: è
legittimo voler rinunciare ai benefici dell’internazionalizzazione per
evitarne i costi, compreso quello di cedere potere di decisione sulle
caratteristiche delle convivenze nazionali. Ostacolando in varia forma
le integrazioni internazionali si ridurranno anche i dilemmi dei temi
precedenti perché ci saranno meno beni pubblici (quelli internazionali) e
meno cambiamenti da affrontare (quelli provenienti da interazioni
internazionali). Perciò si può decidere in vario modo: basta non voler
godere delle opportunità globali mantenendo intatta la sovranità
nazionale.
I politici di professione, anziché confonder le idee
alla gente per conquistare brevi periodi di simil-potere, potrebbero
aiutarci a incanalare i nostri dibattiti, le nostre divergenze e
preferenze, con riguardo a scelte di fondo come quelle accennate. Può
darsi che, esaminati bene i dati di fatto ed esperite discussioni in
buona fede, emerga più consenso sul da farsi di quando si bisticcia per
lo sforzo di formare a tutti i costi squadre politiche contrapposte.
Twitter @francobruni7