sabato 4 giugno 2016

La Stampa 4.6.16
Di Maio choc: Berlusconi non fingeva, Renzi sì
di Jacopo Iacoboni

Tra la fine degli Anni Novanta e l’inizio degli Anni Duemila Silvio Berlusconi era un mito, nel Napoletano. Ci sono ormai saggi, su questo. Ragazzine come Noemi Letizia saranno il fenomeno più superficiale di questa idolatria collettiva che vedeva nel Cavaliere uno dei modelli neanche inconfessabili di tanta gioventù delle periferie campane. Di Silvio piaceva, più che la politica, l’idea che si fosse fatto da sé, che non fosse un politico, che fosse ricco, avesse delle tv - e quindi potesse dare o togliere fama e notorietà -, una squadra di calcio, e soprattutto i soldi. Una culla dell’antipolitica, quella vera.
Colpisce che Luigi Di Maio, cresciuto in una di quelle periferie, con un padre che ha definito a Vanity Fair molto rigido, ed era molto di destra - dica ora, in un’intervista in uscita oggi su Micromega, che Berlusconi era meglio di Renzi: il premier, sostiene Di Maio, «è più subdolo di Berlusconi: arrivano ambedue alle stesse conclusioni ma almeno l’ex Cavaliere non fingeva». Per Di Maio il Cavaliere era sincero, mostrava chiaramente le sue idee, per esempio l’avversione ai magistrati: «C’è una sostanziale differenza fra i due: Berlusconi non ha mai nascosto la sua “allergia” nei confronti della magistratura, non s’è mai nascosto». Renzi invece, secondo l’aspirante leader Cinque stelle, è un bugiardo.
Non è la prima volta che in questi mesi il Movimento ammicca al mondo di centrodestra, arrivando infine a questa specie di revisionismo sul Cavaliere di Arcore. Dagli immigrati al dietrofront sulle unioni civili, all’abbandono di qualunque vocazione no euro, Di Maio è sempre stato presente in tutte queste svolte: o come fedele esecutore di cose decise a Milano, o pian piano come coautore di quelle svolte (per esempio sulla legge Cirinnà, o sull’euro). Nel frattempo a Torino Appendino flirtava con i moderati, e a Roma Raggi aveva il problema di far dimenticare la sua frequentazione, attestata, coi mondi previtiani.
Non leggetela solo lungo lo schema Movimento-che-va-a-destra: la spiegazione di questi echi linguistici post-berlusconiani è meno schematica, prepolitica. Il Movimento nasce anzi proprio sul tema della legalità - secondo molti elettori delusi, tema dimenticato dalla sinistra; ma Di Maio declina quel tema a modo suo. Divide il mondo in «sfigati e vincenti». Pianifica un’ascesa a colpi di interviste ai tg (è in un’intervista al Tg1 che si autonomina leader). Arriva infine a parlare di sesso ed ex fidanzate a Vanity Fair. Oggettivamente, il berlusconismo, più che un nemico, come un punto d’arrivo, il successo da emulare partendo da molto più in basso. Come tutto questo possa far presa nel confuso elettorato di sinistra deluso resta il mistero di queste elezioni.