La Stampa 3.6.16
Tutti insieme retoricamente
Da Ulisse a
Obama, l’arte oratoria attraverso i secoli in uno studio di Adriano
Pennacini: le ricette per avvincere e convincere, infiammare e
commuovere
di Alberto Sinigaglia
C’è un
collegamento tra Odisseo che si presenta nudo a Nausicaa e Matteo Renzi
che si presenta in cravatta al Senato? C’è, sicuro. E c’è tra Pericle e
Beppe Grillo, tra Demostene e il Pontefice, tra Cicerone e il presidente
degli Stati Uniti. È la retorica, la tecnica della comunicazione
persuasiva. «Vero impero, più vasto e più tenace di qualsiasi impero
politico», dice Roland Barthes. «Ha digerito regimi, religioni, civiltà.
Moribonda fin dal Rinascimento, impiega tre secoli a morire e non è
certo se sia morta». Infatti non lo è, se arriva a protagonisti d’oggi
l’antologia delle Edizioni dell’Orso di Alessandria, nella quale Adriano
Pennacini scandaglia Discorsi eloquenti da Ulisse ad Obama e oltre con
una giunta fino a papa Francesco (pp. 597, € 50).
Giusto
cominciare dal re di Itaca e da Omero, che ne cantò la sagacia oratoria.
Sull’isola dei Feaci è solo un naufrago «coperto di salso, orribile».
Si copre i genitali con un ramo, avanza «come un leone», le «fanciulle
dai bei capelli» fuggono. Solo la figlia di Alcinoo rimane. L’eroe
decide di parlarle da lontano, pronuncia «un discorso dolce e accorto:
«Ti abbraccio le ginocchia, signora, sei dea o mortale? (...) Sono
scampato al mare color del vino ed era il ventesimo giorno da che le
onde e le tempeste impetuose mi trascinavano dall’isola Ogigia; ora mi
ha gettato qui un demone, perché anche qui io soffra sventure».
L’Italia «arrugginita»
Passa
il tempo e il 24 febbraio 2014 a Roma il presidente del Consiglio
incaricato non abbraccia le ginocchia ai senatori, ma si rivolge loro
«in punta di piedi, con il rispetto profondo, non formale, che si deve a
quest’Aula (...), con lo stupore di chi si rende conto di essere
davanti a un pezzo di storia». Chiede la fiducia per guarire «un Paese
arrugginito, un Paese impantanato, incatenato da una burocrazia
asfissiante».
Stessi ingredienti: utilità, ossequio, adulazione,
pietà (Odisseo per la sua sventura, Matteo per l’Italia incatenata). Ma
ben altro scopre la lente di Pennacini, professore emerito
dell’Università di Torino, traduttore per Einaudi delle Guerre di Giulio
Cesare e dell’Istituzione oratoria di Quintiliano. Scienziato della
lingua e dell’eloquenza, disseziona i testi, ne soppesa il lessico,
l’esordio, l’epilogo, le tecniche seduttive.
Dall’Antigone di
Sofocle sceglie il discorso ingannatore di Creonte. Dalle Storie di
Erodoto, quello minaccioso di Alessandro I agli Ateniesi. Da Tucidide
l’epitafio di Pericle per i caduti della guerra del Peloponneso.
Poi
Lisia contro Eratostene superstite dei Trenta Tiranni, Ippocrate e
l’importanza dell’educazione, Demostene sulla pace, Catone il vecchio
dalla parte dei Rodiesi in Senato, Cicerone contro Gaio Verre e a favore
di Milone. Non mancano Cesare, De bello gallico, con il discorso del
nobile Critognato ad Alesia assediata, né Sallustio, Bellum iugurthinum,
con l’orazione di Gaio Mario all’assemblea popolare.
Il «grido di dolore»
Dall’allocuzione
di Attila agli Unni si può balzare al discorso breve e concreto che
Napoleone rivolse in italiano ai rappresentanti della Repubblica
Cisalpina. O a quello di Cavour al Parlamento Subalpino per l’abolizione
del foro ecclesiastico. O al «grido di dolore» di Vittorio Emanuele II.
O al proclama di Garibaldi che sta per salpare con i Mille e si rivolge
agli «Italiani» perché non lascino i siciliani insorti a combattere da
soli «i mercenari del Borbone, (...) quelli dell’Austria e quelli del
Prete di Roma».
Grida Mussolini dal balcone di Palazzo Venezia,
annuncia alle «camicie nere della rivoluzione» che il maresciallo
Badoglio ha conquistato Addis Abeba. Prega Yitzhak Rabin firmando la
Dichiarazione di principi con Arafat alla Casa Bianca nel 1993:
«Lasciate che dica a voi, Palestinesi, che siamo destinati a vivere
insieme sullo stesso suolo. (...) Basta col sangue e le lacrime. Basta.
Non abbiamo desideri di vendetta... non nutriamo odio nei vostri
confronti. Noi, come voi, siamo gente... gente che vuole costruire una
casa, piantare un albero, amare, vivere al vostro fianco con dignità, in
affinità, come esseri umani, come uomini liberi (...). Preghiamo che
arrivi il giorno in cui tutti noi diremo addio alle armi».
Metafore e anafore
Tra
lingue originali e traduzioni, connessioni e simmetrie, metafore,
anafore, Pennacini scopre le trame oratorie anche di Lenin, Einaudi,
Pertini, Berlusconi. Si sofferma sugli impeti grillini e sulle sfumature
dei tre ultimi Papi. Decritta i segnali per avvincere e convincere,
infiammare e commuovere. Provvidenziale giacimento di esempi e di note
per gli studiosi, guida i comuni lettori a capire perché certi discorsi
siano passati alla storia e a capirla meglio.