il manifesto 3.6.16
Lezione d’antifascismo
Verona. Un’insegnante scrive agli studenti
di Patrizia Buffa
VERONA
Care ragazze e cari ragazzi,
l’anno
scolastico volge al termine, eppure sento il bisogno di scrivervi
perché vi ho sempre considerati soggetti di diritto e mai semplicemente
studenti. Mi rivolgo a voi perché questo, dopo tanti anni
d’insegnamento, è il mio modo naturale di situarmi nel mondo, perché è a
voi che ho cercato di trasmettere, nel tempo, quel senso permanente di
scomodità che consiste nel non sentirsi mai a proprio agio,
nell’avvertirsi sempre un poco fuori posto o, come sosteneva Adorno,
nell’interpretare la forma più alta di moralità non sentendosi mai a
casa, nemmeno a casa propria.
Non ho mai avuto quel pudore che
induce buona parte degli insegnanti a rimanere dietro un’impenetrabile
coltre, in nome di una presunta neutra «professionalità». Sono sempre
stata – oggi direbbe qualcuno – «politicamente scorretta». D’altronde vi
ho sempre insegnato che non esistono narrazioni fattuali oggettive, ma
che dietro ogni narrazione c’è una soggettività che rimanda a un preciso
orizzonte valoriale. La memoria è oblio, direbbe Le Goff: quando
ricordiamo, facciamo selezioni.
Dietro i «non-detti» ci sono i nostri «detti».
Provate
a scrivere la vostra biografia in dieci righe e scoprirete che dietro
la vostra narrazione si nascondono tagli e amnesie più o meno
consapevoli perché nessuna narrazione potrà mai espungere la
soggettività, nemmeno nella scuola delle «competenze». E se è vero che
ogni nostro atto è implicitamente espressione dell’intera personalità di
chi lo compie, comunque, con voi, mi sono sempre dichiarata
apertamente: «ragazzi, la vostra insegnante, prima di essere insegnante,
è antifascista».
In questa dichiarazione, declinata in una specie
di patto d’aula, era ed è compresa la mia assunzione di responsabilità e
di tensione morale nei vostri confronti. Era ed è un modo per
ri-orientare l’azione didattica verso uno sforzo comune di giustizia, un
impegno collettivo volto a realizzar-ci attraverso e non contro
l’altrui dignità, fuggendo così dal rischio delle ovvietà e delle
sclerotizzazioni. (…). Nel continuo fare riferimento ai valori della
Resistenza e dell’antifascismo, volutamente sono stata con voi
anti-commemorativa, poco ieratica, laica, fedele alla lezione di
Calvino.
Ho inteso la Resistenza come «educazione in atto», come
processualità in corso, mai come agiografia. Non mi sono mai piaciute le
celebrazioni, né i «tre minuti di silenzio» dopo il suono della
campanella: sono troppo museali, servono, ma solo apparentemente, a
emendare coscienze.
La moralità nasce dal conflitto, non dalla
paralisi, né dalle pacificazioni o dalle omologazioni. Non possiamo
sottrarci a una storia comune, ma possiamo e dobbiamo discernere.
Eppure, è inutile nasconderci – lo avverto incrociando lo sguardo di
qualcuno di voi – quell’azione didattica, declinata sul «paradigma
antifascista», sembra oggi un pezzo di antiquariato.
Certo, quel
paradigma da troppo tempo è in crisi. E a questa crisi hanno
magistralmente contribuito la pretesa di una pacificazione fondata
sull’indistinzione, la smobilitazione delle coscienze critiche,
l’atteggiamento bulimico nei confronti della memoria, che ha aperto la
strada alle memorie in concorrenza e al revisionismo, rendendo tutto
uguale e, dunque, tutto neutro. E mentre tutto ciò accadeva, nel
subconscio dei meno attenti, passava, senza particolari azioni di
contrasto, l’idea di essere parte di un progetto globale declinato su
nuovi leaderismi.
Nel frattempo, mentre si consumava il processo
di sdoganamento del fascismo, le parole cambiavano di senso e gli
antifascisti diventavano gli «antagonisti»: una mutazione genetica che
si ricapitola all’interno di ciò che Calvino avrebbe efficacemente
definito «antilingua». (…).
L’antilingua è ciò che ci allontana
dal senso, dalla familiarità, dai fondamenti. Così stiamo perdendo lo
status di antifascisti e stiamo diventando gli antagonisti, i
perturbatori, i destabilizzatori, almeno per le vestali del dettato di
J. P. Morgan e dei liquidatori a buon mercato delle Costituzioni
antifasciste.
Non è stato poi così difficile partorire questa
mostruosità: l’antifascismo, in questo paese non si è mai costituito
quale reale nervatura della nostra memoria collettiva. (…). Il risultato
è che, a colpi di revisionismo, abbiamo superato anche le omologazioni
tra vittime e carnefici: i nuovi fascisti che fanno marcette su Roma
diventano i «bravi ragazzi» e gli antifascisti diventano gli
«antagonisti», con tutta la carica semantica di negatività che il
termine comporta per i media mainstream.
Chiudo questa lettera,
cercando di neutralizzare l’amarezza con una bellissima metafora di
Bloch: «il bravo storico è come l’orco della fiaba. Egli sa che là dove
fiuta carne umana, là è la sua preda». Io continuerò, per quanto mi sarà
possibile, a fare l’orco. Continuerò a interpretare il mestiere
d’insegnante sollecitandovi a non agire mai in nome di un presunto
«Befehl ist Befehl» e, a settembre, quando incontrerò nuovi studenti,
per prima cosa dirò loro: «ragazzi, la vostra insegnante, prima di
essere insegnante, è antifascista».
Patrizia Buffa, insegnante al liceo «Girolamo Fracastoro» di Verona