La Stampa 30.6.16
Manca del tutto uno sfidante del premier interno al Pd
di Marcello Sorgi
La
sconfitta ai ballottaggi del 19 giugno ha aperto nel Pd un dibattito
sommerso, e via via più esplicito. Si discute, in pratica, del
dopo-Renzi, cioė di cosa succederebbe se a ottobre, dopo il bagno alle
amministrative, il premier-segretario dovesse andar sotto nel referendum
costituzionale.
Giorno dopo giorno stanno emergendo una serie di
consigli non richiesti e inviti alla cautela, fondati sull’assioma che
Renzi non potrebbe certo togliere il disturbo e lasciare un Paese senza
governo, prima che sia stata messa a punto una situazione di riserva.
Nelle chiacchiere di corridoio argomenti come questi vengono attribuiti
anche al livello più alto, sebbene il Capo dello Stato si sia guardato
bene dall’intervenire in materia. Si è arrivati a parlare di governi
istituzionali, per cui è stato fatto girare il nome del presidente del
Senato Grasso. E c’è una rinascita e un movimento delle correnti, la cui
regia viene ingiustamente attribuita al ministro Franceschini, additato
come esperto di tradimenti precongressuali perché la volta scorsa fu
tra i primi a salire sul carro dell’ex-sindaco di Firenze. Inoltre,
malgrado la ricostruzione di queste manovre abbia spesso tratti
parodistici, Renzi è già intervenuto più volte, l’ultima ieri, per
smentire che possano sortire effetti questi appelli alla ragionevolezza:
in altre parole, se a ottobre vincerà il No, con il contributo
determinante di una parte del suo partito, si dimetterà. E dimettendosi,
renderà molto più probabili lo scioglimento delle Camere e le elezioni
anticipate, che non la formazione di un ennesimo governo d’emergenza.
Presentata
da quelli che si atteggiano a consiglieri benevoli di Renzi come una
sua fissazione, questa impostazione è al contrario fondata sulla storia
recente, stranamente rimossa, di come Renzi è diventato segretario. A
decidere sono stati gli elettori delle primarie, non i capicorrente del
Pd, che semmai seguirono una tendenza che si manifestava esplicita a
favore del giovane leader. Il quale, a sua volta, non aveva fatto
mistero di puntare alla guida del governo. È esattamente per questa
ragione che a far fuori Renzi, anche se sconfitto al referendum (il che ė
da vedere), non saranno né la nostalgia, né la liturgia dei congressi
democristiani vecchia maniera. Dovrà essere un avversario in carne e
ossa disposto a sfidarlo davanti a iscritti e simpatizzanti, esattamente
come aveva fatto lui con Bersani. Le iscrizioni alla corsa, ovviamente,
sono aperte. Ma ci dev’essere una ragione se al momento non c’è folla
ai nastri di partenza.