La Stampa 29.6.16
Ustica, Bologna e le altre stragi
Caduto il segreto, restano i misteri
La
declassificazione decisa dal governo due anni fa si è rivelata
macchinosa: storici, archivisti e familiari delle vittime a confronto
di Giovanni De Luna
Il
27 giugno 1980 l’aereo, decollato dall’aeroporto di Bologna e diretto a
Palermo, si squarciò in volo e cadde nel braccio di mare compreso tra
le isole di Ustica e Ponza. Tutti gli 81 occupanti del velivolo persero
la vita
Sono passati 36 anni dalla tragedia di Ustica.
Il ricordo dell’abbattimento del Dc 9 Itavia, in volo da Bologna a
Palermo, 81 vittime, è anche questa volta l’occasione per sollecitare la
verità sugli eventi stragisti degli Anni 70. Lo hanno fatto il
Presidente della Repubblica («rimuovere le opacità») e la presidente
della Camera, Laura Boldrini («troppi i tasselli mancanti»). È un fatto.
La cappa di opacità che avvolse le nostre istituzioni in quel decennio
inquinò la fiducia sulla quale la democrazia fonda il suo patto con i
cittadini; un patto in cui lo Stato chiede lealtà e rispetto delle leggi
assicurando in cambio la massima trasparenza nel funzionamento dei suoi
organi. Il ruolo del potere invisibile divenne esorbitante, lasciando
uno strascico di sospetti e diffidenze che ha avvelenato per decenni il
nostro sistema politico. Il segreto di Stato calò come una pietra
tombale sulla ricerca della verità e alla sua ombra cominciò a crescere
la malapianta dell’antipolitica.
Nel frattempo però c’è stata una
svolta importante legata alla direttiva emanata dal governo Renzi il 22
aprile 2014: con procedura straordinaria, tutte le amministrazioni
statali sono state obbligate a versare anticipatamente all’Archivio
Centrale dello Stato la documentazione relativa alle stragi di Piazza
Fontana (Milano, 1969), Gioia Tauro (1970), Peteano (1972), Questura di
Milano (1973), Piazza della Loggia (Brescia 1974), Italicus (1974),
Ustica (1980), Stazione di Bologna (1980), Rapido 904 (1984).
Il
provvedimento era stato fortemente sollecitato dai familiari delle
vittime e dagli storici, gli uni e gli altri chiamati a interpretare un
ruolo decisivo nello spazio pubblico dove si elabora la nostra memoria
collettiva. In particolare, i familiari delle vittime si sono ormai
accreditati come portatori di un interesse generale alla giustizia che
trascende anche la dimensione privata delle loro associazioni. Capaci di
spezzare la spirale tra vendetta e perdono, hanno saputo coniugare
l’elaborazione dei propri lutti familiari con l’ostinata ricerca del
bene comune della trasparenza istituzionale.
Quanto agli storici,
la loro fame di fonti e di documenti finora è stata appagata in gran
parte solo dai fascicoli emersi nel corso degli innumerevoli
procedimenti giudiziari. Qualche certezza è stata raggiunta. La
strategia della tensione, per intenderci, è oggi storicamente definita
attraverso la presenza simultanea di tre elementi: i neofascisti come
esecutori materiali; gli apparati dello Stato in un ruolo ambiguo, se
non direttamente colpevole; un attentato di tipo stragista, che puntava
ad alimentare una sensazione diffusa di disordine sociale da attribuire
alla debolezza dello Stato democratico. In questo senso, le possibilità
di accedere alla documentazione prima secretata è stata accolta come una
opportunità per arricchire queste certezze, spalancando inedite
prospettive di ricerca.
Ora, però, a due anni di distanza,
qualche punta di delusione comincia ad affiorare. La procedura di
declassificazione si è rivelata macchinosa; non tutte le amministrazioni
hanno seguito criteri omogenei; alcuni fondi arrivano all’Archivio
centrale in formato cartaceo, altri digitalizzati. Nel caso dei 4.406
fascicoli versati dal Comparto Intelligence, il criterio tecnico seguito
è stato quello di privilegiare le serie archivistiche, senza operare
selezioni di documenti e assicurando l’integrità dell’operazione di
declassificazione. In altri casi, invece, gli atti sono stati sottratti
ai loro contesti archivistici originali con scelte arbitrarie che
propongono fascicoli isolati e per questo incomprensibili o fuorvianti.
Di
qui, nonostante lo zelo con cui sta operando l’Archivio Centrale dello
Stato, le critiche avanzate dalle associazioni dei familiari delle
vittime. Troppe carte inutili, troppo materiale che al rischio
dell’inedia sostituisce quello dell’indigestione. La sfiducia è
difficile da cancellare; a declassificare i documenti sono le stesse
amministrazioni che per anni hanno lavorato ad alimentare i miasmi del
potere invisibile e lo fanno con un inquietante margine di
discrezionalità. La decisione di ricordare l’anniversario di Ustica con
un confronto diretto - domani - tra storici, archivisti, familiari delle
vittime e presidenza del Consiglio va in questa direzione: è un segnale
che le istituzioni hanno finalmente accettato di inserirsi in un
circuito virtuoso, fondato sulle ricerca della verità e sul ripristino
di quel patto di lealtà e trasparenza che ispira qualsiasi democrazia
compiuta.