La Stampa 29.6.16
I deputati sfiduciano Corbyn
Ma lui resiste: “Non mi dimetto”
Dopo i ministri ombra usciti in massa, i parlamentari contro il leader
Ora il Partito laburista rischia una spaccatura tra la base e gli eletti
di Alessandra Rizzo
È
una vera e propria ribellione quella in atto contro il segretario
laburista Jeremy Corbyn, prima abbandonato in massa dai ministri del suo
governo ombra e adesso sfiduciato a valanga dal suo gruppo
parlamentare. «Jeremy deve accettare che la sua leadership è diventata
insostenibile», dice uno dei rivoltosi, il deputato Wes Streeting. Ma il
segretario annuncia sprezzante che andrà avanti. «Nove mesi fa sono
stato eletto democraticamente dal 60% dei membri e sostenitori del
Labour e non li tradirò adesso dimettendomi - sostiene -. Il voto dei
parlamentari di oggi non ha alcuna legittimità costituzionale».
In
questo ha ragione: la mozione di sfiducia votata a scrutinio segreto
dall’80% dei deputati laburisti, 172 contro 40, non è vincolante e non
lo può costringere alle dimissioni. Ma il voto sancisce la crisi del
Labour: l’assalto alla leadership è ormai inarrestabile e si concluderà
quasi certamente con un nuovo voto. Il Labour è spaccato non solo tra i
fedelissimi di Corbyn, gruppo sempre più sparuto a Westminster, e l’ala
blairiana avversa a un segretario della sinistra radicale. È spaccato
tra la base, che finora è stata con Corbyn, e i vertici che non gli
hanno perdonato una campagna impacciata contro la Brexit e che,
soprattutto, non lo ritengono un candidato credibile alle elezioni. Con
le dimissioni di Cameron in seguito al terremoto Brexit, la questione è
diventata urgente perché ci potrebbe essere un voto anticipato, forse
entro l’anno. «Possiamo vincere le prossime elezioni o possiamo tenerci
Jeremy Corbyn, ma non possiamo avere tutte e due le cose», aveva detto
nei giorni scorsi la deputata Ann Coffey, una delle promotrici della
mozione di sfiducia. Parole che sintetizzano a perfezione il pensiero di
molti.
Per i sostenitori di Corbyn, le manovre per farlo fuori
sono solo una congiura di palazzo. In molti, sostenuti dai sindacati,
stanno manifestando in questi giorni per sostenere il segretario a
Westminster e in altre parti del Paese. «Richiamate i cani», avrebbe
detto uno dei ministri dimissionari, Ian Murray, ritrovatosi i
manifestanti di fronte all’ufficio. Intanto deputati ribelli giurano di
aver ricevuto email da elettori delusi pronti a voltare le spalle a
Corbyn, mentre il sito «savinglabour.com» ne chiede le dimissioni.
Corbyn,
uomo testardo secondo chi lo conosce bene, è pronto a ricandidarsi e
chiedere al suo popolo, gli iscritti di partito che eleggono il
segretario, di riconfermarlo. Potrebbe farcela. Tra i possibili sfidanti
c’è Angela Eagle: deputata, dimessasi dal governo ombra tra le lacrime,
proviene dalla sinistra soft del partito e si è fatta notare nella
compagna elettorale contro la Brexit; e Tom Watson, vice di Corbyn che
ne ha preso le distanze, eletto con mandato popolare assai ampio. I due
si sono incontrati in serata. Altri papabili sono il deputato Dan
Jarvis, ex soldato corteggiato da tempo per la segreteria (si sarebbe
tirato indietro secondo alcuni), e Yvette Cooper, già sconfitta da
Corbyn al giro precedente. E c’è chi sogna il ritorno di David Miliband.