martedì 28 giugno 2016

La Stampa 28.6.16
Il popolo di Corbyn lo difende dall’assedio:“È ora di colpire i Tory”
Il leader laburista sostituisce i ministri ombra dimissionari
Poi attacca: “Ingiustizia sociale e razzismo sono in aumento”
di A. Sim.

«I tuoi si dimettono tutti», scherza David Cameron nella Camera dei Comuni con Jeremy Corbyn, il leader laburista che nelle ultime ventiquattr’ore ha sventato quello che ha definito un golpe interno, e assistito alle dimissioni in massa dei suoi ministri ombra. Li ha sostituiti tutti consegnando la lista della sua nuova squadra a Twitter. Sono le sei del pomeriggio quando Corbyn entra nella sala riservata al Partito. I deputati si riuniscono ogni lunedì alla stessa ora. Ieri l’ordine del giorno era di un solo punto: voto di fiducia sul leader. Molti deputati lo accusano di aver fatto una campagna elettorale timida, poco convinta e senza nerbo per convincere gli inglesi a votare Remain. Una fonte ben informata spiega che quello è solo il pretesto, la colpa di Corbyn è quella di non essere ritenuto vincente in caso di elezioni anticipate, ipotesi a cui il Partito deve pensare seriamente dopo l’apertura di Cameron.
La sala nell’antico palazzo culla della democrazia inglese è stracolma, non riescono a entrare, racconta l’inviato del Guardian, nemmeno gli addetti stampa di Corbyn. Alla fine la mozione presentata da due deputati passa, questo pomeriggio alla 16 sarà votata e sapremo se Corbyn ha superato quella che i suoi fan e sostenitori chiamano la congiura dei «blarities», gli eredi del New Labour di Tony Blair.
Fuori dal palazzo c’è il suo popolo, quello che a suon di petizioni, firme, mobilitazione popolare dal basso lo scorso anno l’ha portato alla leadership fra la sorpresa e la rabbia di una nomenclatura che aveva sottovalutato la forza motrice rappresentata da questo deputato di Islington che tiene insieme pacifisti, asiatici, working class, gay, madri, single, giovani e sindacati. Ci sono cartelli pro-rifugiati, pro-gay, qualcuno pro-Palestina. È un popolo colorato che ritiene l’Europa, lo stare dentro o fuori, una questione minore. Ci sono scritte pro-Leave a dimostrazione che quel 39% di laburisti che secondo le stime ha votato per la Brexit non abita solo nel Nord e nel Sud dell’Inghilterra ma ha asilo anche nella cosmopolita Londra. Qui invece contano i diritti sociali e civili, il lavoro precario, le discriminazioni, i salari, i fondi al sistema sanitario pubblico sempre più esigui. Sul palco si alternano politici, leader sindacali, attivisti. «È il momento di colpire i conservatori - urla uno degli speaker - non di spaccare il Labour»... «Jeremy ha vinto, ha avuto oltre 250mila voti e ora i carrieristi vogliono sbarazzarsi di lui solo perché ha detto la verità», dice Angie Birtill, una signora che rivendica 35 anni di appartenenza al Labour. Ma non è stato timido in campagna elettorale?, chiediamo. «No, ha fatto quello che doveva fare, ha detto che bisogna difendere i lavoratori, i rifugiati, gli svantaggiati. Il fatto è che Jeremy (lo chiamano tutti per nome quelli del suo popolo, ndr) - non è come gli altri leader, parole, slogan, apparenza, lui dice quello che deve dire, porta avanti idee e programmi». Didi Rossi, originaria di Roma, ma da una vita a Londra, ricorda che Corbyn ha una politica inclusiva. Quando alle 18,40 si sparge la voce che arriverà anche lui ad abbracciare la sua gente, scoppia un boato e le quattromila persone che hanno aderito alla manifestazione di Momentum urlano con tutto il fiato: «Corbyn in, Cameron out». Poi il leader spunta in Parliament Square, il podio è su un pullman dei pompieri. Prima parla il combattivo vice McDonnell: «Jeremy non si dimette e se lo sfiduciano, si candiderà ancora», tuona. La folla si esalta. Poi tocca a Corbyn. Non riesce a uscire dal canovaccio del suo manifesto politico. Parla di ingiustizia sociale, denuncia gli sgravi fiscali del governo per i super ricchi e deplora il fatto che «siano aumentati dopo la Brexit gli episodi di razzismo e intolleranza». Chiude dicendo ai suoi sostenitori che sono parte di un movimento per la giustizia sociale e l’uguaglianza. Neanche un accenno alla mozione si sfiducia. Al suo popolo Jeremy piace per questo.