La Stampa 28.6.16
Renzi stoppa le voci: referendum a ottobre
Ma mancano le firme
Il Pd fatica a raggiungere le 500 mila richieste
di Carlo Bertini
Sta
per uscire dalla porta a vetri che dà sul corridoio dei ministri,
Matteo Renzi, quando si ferma di colpo e sfodera un mezzo sorriso. Poco
prima delle tredici il premier ha appena finito di parlare sulla Brexit
attaccato dai grillini in aula, snocciola uno ad uno i cento impegni di
giornata, dal pranzo al Colle fino al summit a Berlino, dunque ha la
testa sulla crisi europea: ma forse proprio per questo ci tiene a
smentire una voce che va per la maggiore da quando ha suonato il gong la
Brexit. E cioè che il referendum italiano sulla Costituzione possa
essere rinviato sine die anche per evitare ulteriori fattori di tensione
sull’Europa.
Magari proprio durante la sessione di bilancio, in
concomitanza con i voti sulla legge di stabilità 2017. «La data non la
decidiamo nè io nè voi - dice ai cronisti - ma esiste una legge». Una
norma che stabilisce un limite temporale dai 50 ai 70 giorni dopo il via
libera della Cassazione alle firme raccolte, il che calcolando i tempi
dalla fine di agosto, porta a fissare la data limite entro fine ottobre
circa. «Il periodo è quello lì più o meno», conferma Renzi. Che non solo
sgombra il campo dall’opzione rinvio al prossimo anno, ma che appare
scettico anche sulle spinte alla «spersonalizzazione» di questa prova.
Perché anche il dibattito su dimissioni sì dimissioni no in caso di
sconfitta per lui non ha senso. Il caso Cameron - spiegano i suoi uomini
- dimostra che qualunque cosa dici, un minuto dopo parte una slavina
che lì ha coinvolto pure il Labour. E quindi quelle sulla
spersonalizzazione sono chiacchiere che alla prova dei fatti si
risolvono con dinamiche ovvie. Lo stop al tormentone non persuade il
sospettoso Calderoli, convinto che «Renzi e i suoi sono terrorizzati dai
sondaggi, dal tonfo alle amministrative e dal risultato della
consultazione britannica e vogliono cercare di evitare di dover onorare
la promessa di dimissioni in caso di sconfitta, posticipando il
referendum fino alla scadenza naturale del Governo».
Ma la
questione delle date investe anche il fronte caldo dell’Italicum: alla
Camera non si parla d’altro, di quanto il giudizio della Consulta a
ottobre sulla legge elettorale possa influire sul referendum: se prima
del voto arrivasse un giudizio magari negativo su alcuni punti ciò
potrebbe offrire il destro al premier per prefigurare un cambio della
legge elettorale, con un segnale ben accolto da tutti gli oppositori
alla riforma. E a proposito di date c’è pure la scadenza del 15 luglio
per la raccolta delle firme: da quanto filtra, viene vissuta con ansia
dai colonnelli renziani, impegnati a centrare il bersaglio delle 500
mila firme per il sì. Tanto che il giorno dopo la Brexit a tutti i
deputati è stato inviato un sms per andare a promuovere le firme nei
territori. I dissidenti bersaniani fanno sapere che il risultato è
ancora lungi dall’esser raggiunto e citano alcuni esempi. L’Emilia
Romagna si era data un obiettivo di 45 mila firme e se va bene ne farà
la metà, ha confidato a un collega il giovane Enzo Lattuca. «Venezia ne
ha prese fin qui mille su sei mila iscritti», sostiene Davide Zoggia,
«Modena tre mila su trentamila...».