La Stampa 25.6.15
Enrico Letta
“Italia e Spagna pagheranno il conto dell’instabilità”
L’ex premier: Roma a rischio per il suo enorme debito pubblico
di intervista di Francesca Schianchi
Ex
premier italiano, oggi direttore di Sciences Po a Parigi dove tiene
lezioni in inglese a ragazzi da tutto il mondo, Enrico Letta è un
concentrato di europeismo.
Per Juncker non è l’inizio della fine
della Ue. E’ d’accordo? Lei nei giorni scorsi ha ammonito che senza
Regno Unito la Ue non sopravviverà…
«Se l’obiettivo dell’Europa
sarà solo sopravvivere, si decomporrà pezzo a pezzo. La strada presa
negli ultimi dieci anni ci sta portando verso un burrone: l’unica
possibilità è un rilancio che rimetta al centro i cittadini anziché le
banche e le istituzioni».
Come si fa?
«Bisogna partire da
progetti concreti su tre grandi problemi di oggi. La disoccupazione
giovanile, coinvolgendo un milione di giovani europei in un Erasmus pro,
un anno di apprendistato finanziato dall’Europa. La questione
migratoria, con una polizia di frontiera comune. E la sicurezza, con una
Fbi europea».
Se cose così non vengono fatte si va verso la fine dell’Europa?
«Sicuramente
verso un ulteriore indebolimento. Bisogna agire subito: non possiamo
aspettare le elezioni francesi e fra sedici mesi quelle tedesche,
altrimenti non ritroviamo più nulla, bisogna agire subito dimostrando di
aver capito la lezione».
Per cambiare l’Europa serve cambiare i trattati?
«No,
gli strumenti ci sono tutti, serve la volontà dei Paesi membri di
usarli non solo quando la casa è già bruciata, ma quando c’è il primo
segnale di fumo. Per salvare la Grecia sono stati spesi 283 miliardi di
euro, una cifra enorme: ma i greci l’hanno percepita come insufficiente,
perché sono stati dati quando la casa era già bruciata, invece di
intervenire quando si poteva ancora salvare la situazione».
C’è un problema di leadership europea?
«Ci deve essere una leadership collettiva coesa, che parli con una voce sola».
Come si gestisce il divorzio?
«Sarà
un’operazione difficile, ma un’uscita ordinata è bene che avvenga il
prima possibile. I due anni di cui parla l’articolo 50 del Trattato di
Lisbona sono eccessivi: bisogna che in sei mesi tutti i dossier siano
chiusi».
Altrimenti?
«Il rischio è una sequela di contenziosi giuridici che frenerà gli investimenti in Gran Bretagna e in Europa».
L’Italia corre pericoli economici?
«Sì.
In caso di instabilità, i due Paesi nel mirino sono la Spagna, che da
sei mesi non ha un governo, e l’Italia, perché ha un debito pubblico
enorme».
Renzi però rassicura che l’Italia ha ritrovato stabilità. Possiamo stare tranquilli?
«Il
problema principale è evitare di essere messi sotto esame. E l’unico
modo per farlo è partecipare a un’iniziativa europea di rilancio della
zona euro».
E’ l’unica cosa che il governo può fare per mettere al riparo il Paese?
«Bisogna soprattutto non perdere tempo. Vedo che sono già in programma alcuni vertici europei, mi sembrano buone iniziative».
C’è il rischio che altri Paesi lascino la Ue?
«Fino a un certo punto. Potrebbero farsi tentare la Danimarca o la Svezia, ma penso che il caos di queste ore spaventerà molti».
Cambierà qualcosa nella nostra vita quotidiana?
«Non
domani mattina, ma nell’arco di due o tre anni sì. Chiunque abbia a che
fare col Regno Unito si accorgerà quanto sia diverso fare parte di un
mercato unico o essere trattati come Paese terzo: i miei studenti
inglesi, per esempio, smetteranno di avere agevolazioni in base al
reddito come hanno tutti gli europei».
Cosa cambierà per gli inglesi?
«Ci
sarà una forte spinta centrifuga su Scozia e Irlanda del Nord. E Londra
smetterà di essere la porta del mercato unico più ricco al mondo.
L’Autorità bancaria europea lascerà Londra: sarebbe il caso che Milano
si candidasse a sostituirla».
Cosa c’è alla radice di questa scelta inglese?
«Parole
d’ordine come “torniamo grandi”, “riprendiamo il controllo”
rappresentano idee nazionaliste che, anche se hanno vinto, vanno
combattute. Sono la medicina pietosa per malattie vere come le
disuguaglianze. Dinamiche che si possono modificare solo coi fatti, e
stando attenti a un uso accorto delle parole: troppi annunci rischiano
di avere un effetto boomerang».