sabato 25 giugno 2016

La Stampa 25.6.15
Romano Prodi
“Decisivo il vertice di Berlino, l’Ue può rinascere o fallire”
L’ex presidente della Commissione: i cittadini odiano l’Europa “burocratizzata”
intervista di Fabio Martini

Al primo piano di via Gerusalemme 7, nella casa bolognese di Romano Prodi, telefoni e telefonini squillano senza sosta, politici, accademici e media di mezzo mondo cercano il Professore, l’ultimo presidente di Commissione di un’Europa «felice», o quantomeno proiettata sul futuro. Prodi lasciò Bruxelles alla fine del 2005, in una stagione nella quale l’Europa era in crisi di crescita, mentre oggi c’è una crisi di identità: cosa è accaduto in questi 10 anni? «Da allora ad oggi all’Europa della speranza è succeduta l’Europa della paura. Ed è intervenuto un processo di ri-nazionalizzazione. Con l’uscita di Kohl, si sono l’avvicendati leader per i quali il prevalere degli interessi nazionali non si è accompagnato con una forte visione europeista».
Ma oramai le alchimie dei leader non lasciano più il segno: come spiega queste folate di opinione pubblica sempre più incontrollabili?
«I cittadini non odiano l’Europa, odiano questa Europa, la gestione di questi anni: una politica che non capiscono, che li danneggia. Una politica che ha distrutto il ceto medio».
Ma ora la palla torna ai leader: il futuro dell’Europa si decide più nel vertice a quattro di Berlino o nei giorni successivi al Consiglio europeo di tutti i capi di governo?
«Non ci sono dubbi: nell’incontro di Berlino».
Lei ci crede?
«Lo spero. Confido che la nuova Europa possa nascere lunedì a Berlino. Sennò l’Europa finisce».
Gli altri Paesi seguiranno?
«Di solito, nei grandi passaggi politici, funziona così: l’accordo lo fanno i Paesi “guida”. L’ultima volta accadde con l’euro. Furono decisivi, anche nella fase finale, i contatti diretti tra Germania e Francia, tra Germania e Italia. Se c’è una forte regia, il Consiglio segue. Al massimo può bloccare, ma le decisioni le prendono i Paesi più forti».
In queste ore i mercati ballano e lo spread sale: sarà escalation?
«No. Tutto questo mi preoccupa fino a un certo punto, credo che le turbolenze finanziarie dureranno poco, perché non c’è una forte sostanza che possa alimentarle. Anche se lo spread in queste ore è salito non poco».
Ma l’anello debole delle banche? Gli italiani potrebbero mettersi molta paura, non pensa?
«Gli italiani - e non solo loro - è naturale che siano angosciati, ma rischiano di mettersi paura più per il tambureggiare dell’allarmismo che per motivazioni reali. Ma occorre dire a tutti quel che è vero: che esiste un piano “B”, governo e Banca d’Italia faranno bene a ripeterlo. Naturalmente occorre vigilare onde evitare che il sistema bancario entri in crisi, a quel punto rischiando di andare in pezzi».
Ma se la crisi finanziaria sui mercati dovesse perdurare, non pensa che la spinta a rompere il patto di Stabilità diventerebbe una tentazione per Paesi come l’Italia? E a quel punto non si rischierebbe la rottura con la Germania?
«In questi giorni nessuno può rischiare di rompere il patto di Stabilità. Bisogna cambiare politica, ma attenzione, io non toccherei i Trattati. Non è quella la strada. Perché occorre evitare di tornare a politiche di bilancio senza controllo. Al tempo stesso però urge una svolta. Avviando una politica economica di espansione, che cambi la direzione e la quantità della spesa».
Serve una svolta anche nella governance dell’Europa?
«E’ vero che la Commissione fa spesso cose del tutto inutili, ma sono le sole cose che le lasciano fare. È ovvio che non potendosi occupare del futuro dell’Europa, perché è passato in mano agli Stati, finisca per occuparsi anche del rosmarino».
Finora la Germania ha resistito alle richieste di cambiare dottrina economica e oltretutto la Merkel ha l’appuntamento elettorale del 2017: un circolo vizioso?
«Fino a due sere fa pensavo che quella scadenza potesse essere condizionante e dunque che nessuna decisione potesse essere presa prima di quella data. Ma a questo punto è diventato troppo rischioso aspettare. Anche per la Germania».
Cameron?
«Alla base di tutto c’è stata una sua scelta sbagliata. Il referendum ha indebolito la posizione della Gran Bretagna a Bruxelles, ha confuso gli elettori, è stato impostato da Cameron solo per interessi personali. E in questo senso, si potrebbe dire: ben gli sta».
Nel 2005 Tony Blair mise il veto alla sua conferma a Bruxelles: c’erano già preannunci di un marcato euroscetticismo inglese?
«Tra me e Blair c’erano state divergenze sulla guerra in Iraq, ma nel suo atteggiamento c’erano anche tracce euroscettiche nel senso che una Commissione forte e indipendente non piaceva a nessuno!».