La Stampa 25.6.15
Romano Prodi
“Decisivo il vertice di Berlino, l’Ue può rinascere o fallire”
L’ex presidente della Commissione: i cittadini odiano l’Europa “burocratizzata”
intervista di Fabio Martini
Al
primo piano di via Gerusalemme 7, nella casa bolognese di Romano Prodi,
telefoni e telefonini squillano senza sosta, politici, accademici e
media di mezzo mondo cercano il Professore, l’ultimo presidente di
Commissione di un’Europa «felice», o quantomeno proiettata sul futuro.
Prodi lasciò Bruxelles alla fine del 2005, in una stagione nella quale
l’Europa era in crisi di crescita, mentre oggi c’è una crisi di
identità: cosa è accaduto in questi 10 anni? «Da allora ad oggi
all’Europa della speranza è succeduta l’Europa della paura. Ed è
intervenuto un processo di ri-nazionalizzazione. Con l’uscita di Kohl,
si sono l’avvicendati leader per i quali il prevalere degli interessi
nazionali non si è accompagnato con una forte visione europeista».
Ma
oramai le alchimie dei leader non lasciano più il segno: come spiega
queste folate di opinione pubblica sempre più incontrollabili?
«I
cittadini non odiano l’Europa, odiano questa Europa, la gestione di
questi anni: una politica che non capiscono, che li danneggia. Una
politica che ha distrutto il ceto medio».
Ma ora la palla torna ai
leader: il futuro dell’Europa si decide più nel vertice a quattro di
Berlino o nei giorni successivi al Consiglio europeo di tutti i capi di
governo?
«Non ci sono dubbi: nell’incontro di Berlino».
Lei ci crede?
«Lo spero. Confido che la nuova Europa possa nascere lunedì a Berlino. Sennò l’Europa finisce».
Gli altri Paesi seguiranno?
«Di
solito, nei grandi passaggi politici, funziona così: l’accordo lo fanno
i Paesi “guida”. L’ultima volta accadde con l’euro. Furono decisivi,
anche nella fase finale, i contatti diretti tra Germania e Francia, tra
Germania e Italia. Se c’è una forte regia, il Consiglio segue. Al
massimo può bloccare, ma le decisioni le prendono i Paesi più forti».
In queste ore i mercati ballano e lo spread sale: sarà escalation?
«No.
Tutto questo mi preoccupa fino a un certo punto, credo che le
turbolenze finanziarie dureranno poco, perché non c’è una forte sostanza
che possa alimentarle. Anche se lo spread in queste ore è salito non
poco».
Ma l’anello debole delle banche? Gli italiani potrebbero mettersi molta paura, non pensa?
«Gli
italiani - e non solo loro - è naturale che siano angosciati, ma
rischiano di mettersi paura più per il tambureggiare dell’allarmismo che
per motivazioni reali. Ma occorre dire a tutti quel che è vero: che
esiste un piano “B”, governo e Banca d’Italia faranno bene a ripeterlo.
Naturalmente occorre vigilare onde evitare che il sistema bancario entri
in crisi, a quel punto rischiando di andare in pezzi».
Ma se la
crisi finanziaria sui mercati dovesse perdurare, non pensa che la spinta
a rompere il patto di Stabilità diventerebbe una tentazione per Paesi
come l’Italia? E a quel punto non si rischierebbe la rottura con la
Germania?
«In questi giorni nessuno può rischiare di rompere il
patto di Stabilità. Bisogna cambiare politica, ma attenzione, io non
toccherei i Trattati. Non è quella la strada. Perché occorre evitare di
tornare a politiche di bilancio senza controllo. Al tempo stesso però
urge una svolta. Avviando una politica economica di espansione, che
cambi la direzione e la quantità della spesa».
Serve una svolta anche nella governance dell’Europa?
«E’
vero che la Commissione fa spesso cose del tutto inutili, ma sono le
sole cose che le lasciano fare. È ovvio che non potendosi occupare del
futuro dell’Europa, perché è passato in mano agli Stati, finisca per
occuparsi anche del rosmarino».
Finora la Germania ha resistito
alle richieste di cambiare dottrina economica e oltretutto la Merkel ha
l’appuntamento elettorale del 2017: un circolo vizioso?
«Fino a
due sere fa pensavo che quella scadenza potesse essere condizionante e
dunque che nessuna decisione potesse essere presa prima di quella data.
Ma a questo punto è diventato troppo rischioso aspettare. Anche per la
Germania».
Cameron?
«Alla base di tutto c’è stata una sua
scelta sbagliata. Il referendum ha indebolito la posizione della Gran
Bretagna a Bruxelles, ha confuso gli elettori, è stato impostato da
Cameron solo per interessi personali. E in questo senso, si potrebbe
dire: ben gli sta».
Nel 2005 Tony Blair mise il veto alla sua conferma a Bruxelles: c’erano già preannunci di un marcato euroscetticismo inglese?
«Tra
me e Blair c’erano state divergenze sulla guerra in Iraq, ma nel suo
atteggiamento c’erano anche tracce euroscettiche nel senso che una
Commissione forte e indipendente non piaceva a nessuno!».