La Stampa 23.6.16
Gran Bretagna
Comunque vada nulla sarà più come prima
di Francesco Guerrera
La Gran Bretagna vota e l’Europa si guarda allo specchio.
Dentro
o fuori, il Regno Unito di domani mattina sarà completamente diverso da
quello di stasera. E neanche l’Unione Europea si può permettere di
rimanere la stessa.
La scommessa incosciente di David Cameron -
andare a pungolare l’anti-europeismo dei britannici per regolare beghe
interne di partito - ha sparato una luce accecante sui tanti fallimenti
del «progetto europeo». Anche se il primo ministro britannico dovesse
vincere - e non è un risultato scontato - l’Ue dovrà trovare una nuova
strada per continuare il viaggio iniziato dopo la Seconda guerra
mondiale.
«Ossessionati dall’idea di un’integrazione totale ed
immediata, non ci siamo accorti che la gente normale, i cittadini
dell’Europa, non condividono il nostro “Euro-entusiasmo”», a dirlo non è
un inglese disilluso dall’Europa ma Donald Tusk, il presidente del
Consiglio Europeo. «Lo spettro della separazione sta perseguitando
l’Europa ma la visione di una federazione non è la migliore risposta»,
ha aggiunto in un discorso a maggio.
C’è chi, a Bruxelles ma anche
nelle capitali europee e persino a Londra, non e convinto. Chi crede
che il solo modo per far fronte alla crisi economica, al dramma
dell’immigrazione e alla sconnessione tra popolo e istituzioni europee
sia «un’unione sempre più stretta», la frase più amata dagli eurofili e
più odiata dagli euroscettici.
E’ per questo che l’unico risultato
sicuro del referendum di oggi sarà un’Europa «a due velocità». Anche se
la Gran Bretagna decide di rimanere, rivendicherà con ancora più forza
il suo diritto a rimanere fuori dalle spinte integrazioniste di
Bruxelles. Per Londra quell’unione sempre più stretta è stata un
abbraccio troppo soffocante.
Nella migliore delle ipotesi, ci
troveremo con due Europe. Una, basata sul classico asse franco-tedesco
con l’appoggio condizionato di Italia e Spagna, intenta a rimanere unita
intorno all’euro e a risolvere gravi problemi come l’immigrazione con
politiche comuni.
E l’altra, capitanata dal Regno Unito, che vuole
partecipare ad alcuni progetti come il mercato unico, il commercio
estero e la ricerca scientifica, ma che si riserva il diritto di stare
fuori dai piani federalisti degli altri. La Danimarca e la Svezia già vi
appartengono, ma questo club potrebbe anche annoverare Paesi come
l’Ungheria e la Polonia e offrire una sponda isolazionista a partiti
politici con tendenze euroscettiche in Francia, Spagna, Italia e
Germania. Non è un caso che Marine Le Pen stia già chiedendo un
referendum stile-britannico in Francia.
Ma la divisione, forse
naturale, tra chi vuole più Europa e chi ne ha già abbastanza, potrebbe
non bastare a riconquistare i cuori, i cervelli e i voti dei cittadini.
Un recente sondaggio del Pew Research Center ha mostrato gli ostacoli di
fronte all’ Europa a due velocità. In Francia, il 61% della popolazione
ha una visione negativa dell’Ue. In Spagna e in Germania, è quasi la
metà della popolazione a non amare l’Unione. E pure in Italia, quasi il
40% dei sondati si dice critico del progetto europeo.
Un mio amico
banchiere parla spesso di un’Europa «a due livelli, come gli autobus di
Londra». Ma non si può avere un’Europa a due piani se nessuno vuole
salire in cima e se non c’è un autista.
E questa sarebbe la
soluzione migliore: una sconfitta della Brexit che farebbe piacere ai
mercati, a Bruxelles e all’asse Berlino-Parigi-Roma-Madrid.
Il
risultato-incubo, la vittoria dell’Out, provocherebbe convulsioni
immediate nei mercati sia a breve termine - il crollo della sterlina e
delle Borse europee - sia a medio termine - una recessione nel Regno
Unito accompagnata da un crash quasi sicuro nel mercato immobiliare
inglese che potrebbe portare a una crisi finanziaria. Ma potrebbe anche
segnare l’inizio della fine del progetto europeo. Non un’Europa a due
velocità ma un’Europa allo sbando.
A voi, ladies and gentlemen.
Francesco Guerrera è il condirettore e caporedattorefinanziario di Politico Europe