giovedì 23 giugno 2016

La Stampa 23.6.16
Se il coraggio dei giudici colma il vuoto legislativo
di Carlo Rimini*

Quando i giudici intervengono a colmare le lacune legislative si parla di solito di «giurisprudenza creativa». Riconoscendo la possibilità di adottare il figlio del partner omosessuale, la Cassazione si è invece limitata a seguire una strada già aperta da un consistente numero di sentenze di merito (cioè pronunciate dai tribunali e dalle Corti d’appello).
Più che creativa è una quindi una “giurisprudenza propositiva”, che spinge il legislatore a completare l’opera lasciata incompiuta con la recente approvazione della legge sulle unioni civili, quando le contrapposizioni ideologiche hanno costretto il Parlamento a non risolvere la questione dell’adozione del figlio del partner. La Cassazione indica una chiave per la soluzione del problema, attingendo ad uno strumento classico del diritto minorile: l’interesse del minore che prevale sui diritti degli adulti.
In relazione alla adozione da parte della coppia omosessuale si contrappongono generalmente due argomenti, l’un contro l’altro armato. Da un lato si fa valere la necessità di non discriminare la coppia omosessuale che rivendica la possibilità di crescere un figlio senza discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale. D’altro lato si obietta che sulle aspettative di paternità o maternità della coppia omosessuale deve prevalere l’esigenza del bambino ad essere cresciuto da una mamma e da un papà poiché si assume che solo l’eterosessualità dei genitori garantisca una crescita equilibrata.
La Cassazione, pur costretta dal silenzio del legislatore ad applicare il vecchio strumento dell’art. 44 della legge sull’adozione che risale al 1983, indica una via che pare soddisfare entrambe le opposte fazioni. Innanzitutto in questi casi l’adozione non priva il minore di una famiglia eterosessuale perché il bambino, essendo figlio di una persona omosessuale, non ha comunque la possibilità di crescere in una famiglia eterosessuale. Non si tratta quindi di concedere l’adozione di un minore in stato di abbandono ad una coppia omosessuale, preferendola ad una coppia eterosessuale, ma solo di prendere atto che il bambino già vive in una famiglia omosessuale. In secondo luogo la Cassazione afferma che non deve essere necessariamente assecondata l’aspirazione del partner del padre o della madre del bambino a diventare a sua volta genitore. Il desiderio può essere invece soddisfatto solo a condizione che l’adozione corrisponda all’interesse del minore. Ciò accade quando il bambino è già inserito all’interno di una famiglia stabile e ha già un legame solido e positivo con il partner del proprio genitore. In questo caso non vi è alcuna ragione per non attribuire un valore giuridico ad un legame già consolidato nei fatti.
Evocare, nel caso affrontato dalla Cassazione, le conseguenze (che i critici suppongono terribili) che avrà sulla bambina il fatto di non avere un padre, significa perdere il contatto con la realtà perché quella bambina una famiglia composta da un papà e da una mamma non l’avrà mai.
*Ordinario di diritto privato nell’Università di Milano