mercoledì 22 giugno 2016

La Stampa 22.6.16
“Quant’è bella la Raggi, speriamo ci faccia uscire da questi lager”
Viaggio nel campo nomadi di Castel Romano tra speranze, disgrazie, paura dei topi e politica
di Amedeo La Mattina

«Quanta è bella la Raggi! Me la sposerei. Mi ricorda la mia prima fidanzata. Speriamo che ci aiuta e ci fa uscire da questo lager. Io e la mia famiglia vogliamo vivere in una casa popolare. Non vogliamo restare qui come animali, in mezzo a topi enormi e a cani con la rogna, insieme a ladri, drogati e spacciatori. Quelli delle cooperative usano i campi rom come un bancomat per rubare soldi al Comune, ma non si vedono mai, non fanno quello per cui sono pagati. Gira, vai a vedere come viviamo». Odissej è un bosniaco con un grosso paio di baffi neri. Vive nella baracca numero 1 del campo nomadi di Castel Romano sulla Pontina. È partita da questo posto, dove vivono 3 mila persone in aperta campagna senza una fermata dell’autobus, l’inchiesta «Mondo di lato». I carabinieri dell’Eur captarono una conversazione in cui due rom si lamentano dei lavori mai fatti.
Sguardi sospettosi di uomini, ragazze con molti figli, bambini che ti circondano e ti seguono, una discarica di immondizia in fondo al campo, tubi della fognatura rotti che spandono liquami maleodorante. Sacir esce dalla sua baracca, zoppicando. Indossa una maglietta con un grande cuore rosso e la scritta «Cooperativa 29 giugno 2008», quella di Buzzi e di Mafia Capitale. «Noi non sappiamo niente di quello che fanno. Ci usano per fare i soldi. Non abbiamo acqua potabile. C’è molta gente con la scabbia. Ogni tanto viene un camper di Sant’Egidio con dei medici che visitano i bambini...». Il suo amico Viktor ha una stretta di mano vigorosa, anche lui è bosniaco. Dice che non vorrebbe pesare sugli italiani, ma lavorare. Fruga nei cassonetti, ricicla vecchi elettrodomestici. «E questi delle cooperative che si vedono una volta al mese si fanno le ville. Noi siamo la loro piccola banca. E poi i ladri saremmo noi». «Certo, non può negare che ladri ce ne sono molti tra di voi», proviamo a osservare. Risposta di Viktor: «I nostri ladri rubano per necessità, i vostri perchè i soldi non gli bastano mai».
Attraversiamo tutto il campo, da una parte all’altra. La prima parte è più ordinata. Odissej addirittura si è fatto l’orto e una piccola vigna. Più ci si inoltra e maggiore è la diffidenza verso il giornalista intruso. C’è una quantità di bambini incredibile. Perchè fate tutti questi figli? «Perchè non abbiamo la televisione», ride Govorusic che di figli ne ha cinque. Ci chiede di sederci con lui e la moglie sotto una pensilina di lamiera. Accanto è parcheggiato un Maggiolino nuovo. «Prima lavoravo, guidavo uno scuolabus, poi non hanno rinnovato il contratto all’associazione e mi sono messo a vendere macchine». Vero, falso? Intanto il suo Maggiolino grigio metallizzato scintilla al sole. Una cosa è sicura: al campo rom di Castel Romano non si vedono i servizi per cui erano pagate le cooperative coinvolte nell’inchiesta della Procura romana. Marco ci tiene a farci vedere il tubo della fognatura rotta proprio dietro «casa» sua. «Sono andato tante volte in circoscrizione a chiedere di venire a ripararlo, ma non vengono mai». Giuliana, una ragazza serba di 20 anni dagli occhi chiari e dolci, racconta che la sera non può dormire per il rumore dei topi grossi come gatti che corrono sopra i tetti. «Non hanno paura di noi, ma io ho paura che mi mangiano il mio bambino», dice indicando un neonato sul passeggino.
Torniamo indietro. Entra nel campo una macchina dei carabinieri, si ferma davanti una baracca: i militari controllano se una donna agli arresti domiciliari è a «casa». Li aspettiamo fuori, prima di riprendere la Pontina. Chiediamo ai due giovani carabinieri come vanno le cose. All’unisono: «Non creda a quello che vi raccontano. Tutta questa immondizia la fanno loro, che rubano i fili di rame dell’impianto elettrico, si rubano le targhe l’uno con l’altro. Ha visto quante finestre rotte? Sono loro che le spaccano la sera quando si ubriacano e pippano cocaina». Cocaina? «Ma lo sa come è chiamato questo posto? Colombia».