La Stampa 22.6.16
La protesta può travolgere il referendum
Chi di rinnovamento ferisce...
Il doppio volto del referendum
Che cosa ci dicono sul futuro i risultati delle elezioni amministrative
di Luigi La Spina
Per
il futuro della politica italiana, quello prossimo ma anche quello
decisivo per la sorte del governo e forse della legislatura, è stato il
risultato del voto a Torino il più interessante. A Roma, il successo di
Virginia Raggi era scontato, se non nelle sue grandi proporzioni, vista
la divisione del centrodestra e l’eredità catastrofica della precedente
giunta sulle spalle del povero Roberto Giachetti.
A Milano, la
vittoria di stretta misura di Sala su Parisi consente sia a Salvini di
sostenere che con un candidato centrista non si vince, sia a Brunetta,
invece, che solo con un candidato centrista si può pensare di vincere.
Nella
capitale subalpina, la sconfitta di Fassino fa accendere l’allarme
rosso per i sostenitori del «sì» alla riforma costituzionale. Nonostante
il giudizio generalmente favorevole sulla passata amministrazione,
infatti, la maggioranza degli elettori torinesi ha fatto prevalere il
desiderio di un forte cambiamento dell’assetto di potere sul «merito» di
chi li ha governati. Con una inedita e quasi totale concentrazione di
voti su Appendino da parte dei cittadini che avevano votato, al primo
turno, per il centrodestra.
Se lo stesso schema logico-politico si
ripetesse a ottobre su scala nazionale, il «merito» del quesito
referendario, infatti, sarebbe trascurato rispetto all’obbiettivo
prevalente, quello di un «no» clamoroso e definitivo all’esperienza
governativa di Renzi, sempre con lo stesso slogan, quello del
cambiamento. Anche se le conseguenze potrebbero essere più pesanti e
rischiosamente imprevedibili di un mutamento, sia pure radicale,
dell’amministrazione di un Comune. Sia per la conferma che avrebbero i
mercati internazionali e i nostri partner europei dell’ inguaribile
instabilità del nostro Paese e, quindi, del poco affidamento sui nostri
impegni di riduzione del debito e, in generale, di risanamento
finanziario dello Stato, sia per il rischio di una interruzione
anticipata della legislatura che, in queste condizioni, non potrebbe far
sperare alla grandissima parte degli attuali deputati e senatori di
rimettere piede in Parlamento.
Il funesto presagio del voto di
Torino sull’approvazione della riforma costituzionale, però, potrebbe
essere rovesciato, come i vaticini contraddittori della Sibilla cumana.
Lo slogan, sempre vincente, del cambiamento rispetto ai vecchi riti del
passato potere, a ottobre, potrebbe essere legittimamente innalzato da
Renzi. Il quale potrebbe accusare proprio i trionfatori di giugno, i
grillini, di incoerenza rispetto alla loro propaganda «nuovista»,
perché, con il loro «no», difenderebbero un sistema pletorico e costoso,
a partire da un Senato con uguali e ripetitivi compiti di produrre le
leggi, per finire alla salvaguardia di enti inutili come il Cnel.
Il
vento della protesta contro l’immutabile «casta», la voglia di novità e
di riforme che facciano «dimagrire» lo Stato, perciò, potrebbero essere
raccolti, durante la campagna referendaria, proprio da colui, e da
coloro che, questa volta, sono stati vittime della stessa ondata di
rivolta popolar-populistica. Con un rovesciamento di accuse curioso e
dall’esito imperscrutabile, perchè gli inviti al «no» dei leader
dell’opposizione potrebbero essere inascoltati da un elettorato che,
ormai, si è dimostrato mobilissimo, poco disposto all’obbedienza e alla
fedeltà rispetto ai presunti capi di partito e incline a gettare
nell’urna più la passione che la ragione.
Ecco perché la politica,
in Italia, desta molta apprensione, e molta incomprensione, fuori dai
confini nazionali, ma promette sempre agli osservatori di casa nostra di
non annoiare mai.