martedì 21 giugno 2016

La Stampa 21.6.16
La delusione di Fassino:
“Non doveva essere un referendum su Renzi”
E ora il sindaco sconfitto teme che gli investimenti si spostino su Milano
di Beppe Minello

Il primo giorno dopo la sconfitta, per Piero Fassino è il giorno dell’ira e delle parole centellinate, possibilmente a chi gli è stato più vicino, giornali compresi. Una riservatezza infranta anche con pochi e fidati amici al telefono, a pranzo e nel pomeriggio trascorso in parte nella sede del comitato elettorale ricavata da un ex-night club di dubbia moralità ma perfetto, vista la sua posizione alle spalle del popolare mercato di Porta Palazzo e a poca distanza della nascente, scintillante sede della Lavazza, per simboleggiare la rinnovata attenzione verso quelle periferie o comunque quartieri difficili che gli sono costati la riconferma.
Le prima telefonata, dalla sua casa di corso Mediterraneo, elegante quartiere Crocetta, dove abita da adolescente, prima con la mamma vedova e poi con la moglie Anna Serafini, ex-parlamentare pure lei, è arrivata al fidato Beppe Borgogno , il suo «problem solver», sia sul fronte politico vista l’esperienza che si perde nella storia del Pci, sia sul fronte amministrativo visti gli incarichi assessorili ricoperti in passato.
Da lui Fassino ha voluto sapere cosa stesse accadendo a Palazzo Civico dando anche disposizioni per liberare l’ufficio occupato negli ultimi 5 anni. Fino alla proclamazione di Chiara Appendino, che avverrà il 30 giugno, Piero Fassino è ancora primo cittadino di Torino.
Dopo pranzo, fatto con alcuni amici fuori casa, l’ormai ex-sindaco ha partecipato allo speciale del Tg1 dove ha ripetuto, sollecitato da Sallusti del Giornale e Romani di Forza Italia, la sua teoria sulla sconfitta che sarebbe frutto della convergenza del voto di destra sulla candidata grillina. Una teoria che ha fondamento, ma forse non completa. Visto che in privato Fassino non nasconde il fatto che tra i principali responsabili di una delle poche vere battute d’arresto del suo lungo cursus honorum di amministratore pubblico ci sono il partito e pure l’ostilità di qualche giornale. Nel primo caso sarebbe compreso anche il segretario e presidente del Consiglio Matteo Renzi che avrebbe trasformato le elezioni amministrative e il referendum costituzionale dell’autunno in un voto pro o contro di lui. Una iattura che ha obbligato Fassino a spiegare a ogni evento della campagna che il voto era per eleggere chi, nei prossimi 5 anni, avrebbe amministrato Torino». Ecco, tra le preoccupazioni del sindaco c’è, prima di tutto, la città. La sua tesi è chiara: «In questi 5 anni di crisi economica siamo riusciti a tenere in piedi Torino, non abbiamo ridotto i servizi e ci siamo attrezzati per poter sfruttare i segnali di ripresa confermati sia da Banca d’Italia, sia dalla Camera di Commercio. Ma ora, con tutti i “no” che dice l’Appendino in campo urbanistico, sulla Tav e la Città della salute , cosa accadrà?». A tormentare Fassino è la Milano uscita in gran spolvero dall’esperienza dell’Expo, una sorta di evento olimpico come quello che ha rilanciato Torino. Non che Fassino tema il riaffermarsi dell’unica vera metropoli europea d’Italia, ma lo tormenta il non potere agganciarci Torino. Giusto l’altra mattina, il sindaco aveva incontrato i giovani fondatori di un’azienda informatica con sede nella Silicon Valley, spiegando che «l’area compresa fra Torino e Milano è una delle più ricche e innovative del mondo. Già oggi le due città, con il Frecciarossa, sono distanti appena 33 minuti che scenderanno a 23 fra due anni quando il treno viaggerà a 400 km all’ora. Sarà come andare in metrò da Porta Susa a piazza Duomo: capite cosa significa? Che opportunità si aprono’».