La Stampa 17.6.16
Renzi in silenzio ma prepara la resa dei conti con la minoranza
di Marcello Sorgi
Schierato
come un sol uomo, l’intero centrodestra ieri è andato all’attacco del
«No tax day» promosso da Renzi per celebrare, in chiave elettorale, i
tagli alle tasse promossi dal governo, la cui efficacia, dati alla mano,
il fronte ex-berlusconiano ha cercato fino all’ultimo di mettere in
dubbio. In assenza di Renzi, impegnato all’estero con Putin,
l’iniziativa del Pd è stata anche contestata dalla minoranza del
partito, contraria a mescolare i risultati dei provvedimenti governativi
con la campagna per i sindaci e in parte convinta che il «fattore
Renzi» in questa tornata non funzioni e possa perfino dirottare voti
sugli avversari. Anche per questo, il premier ha preferito chiudere
senza approfondirla la polemica sul presunto voto di D’Alema per la
Raggi a Roma, prendendo per buona la smentita dell’ex-presidente del
consiglio, anche se non era accompagnata da un chiaro pronunciamento a
favore di Giachetti.
Roma rimane per il Pd la piazza più difficile
e il luogo di una sconfitta annunciata che potrebbe pesare molto sui
risultati di domenica. Per bilanciarla, nel caso in cui le previsioni
della vigilia escano confermate dalle urne, Renzi ha bisogno di vincere a
Milano - ma il pronostico è incerto, Sala e Parisi sono testa a testa e
l’ondata emotiva sollevata dall’intervento al cuore di Berlusconi
potrebbe giocare a favore del centrodestra -, e di vedere confermati i
sindaci di Torino, Bologna e Trieste, anche queste realtà in cui regna
una forte incertezza.
Ma quale che sarà il quadro che uscirà dai
ballottaggi, una resa dei conti è annunciata nel partito del presidente
del consiglio. Renzi ha detto chiaramente che intende archiviare al più
presto i risultati per dedicarsi alla campagna per il referendum
costituzionale. I suoi avversari interni puntano invece a ottenere un
chiarimento sulla situazione del partito e sulla necessità di
intervenire sul territorio. Un chiarimento che immaginano proporzionato
all’eventuale gravità delle sconfitte nelle città e mirato a riproporre
la questione della separazione delle cariche di segretario e di
presidente del consiglio. Sottotraccia, si ripropone anche il tema della
libertà di coscienza, per chi non condivide la riforma, al referendum
di ottobre. Se la vittoria del No porterebbe il premier diritto alle
dimissioni, gli anti-renziani - come ventitré anni fa, ai tempi del
referendum elettorale di Segni per il sistema elettorale maggioritario, i
nostalgici del Pci - sono convinti che se anche il Si alla fine
prevalesse, in presenza di un’alta percentuale di voti contrari, si
riaprirebbe la prospettiva di un partito di sinistra separato dal Pd
centrista di Renzi.