Corriere 17.6.16
Il «chiarimento» con la sinistra Renzi farà a luglio l’assemblea dem
L’obiettivo della massima unità al referendum
di Maria Teresa Meli
ROMA
Matteo Renzi sa bene che i suoi avversari (interni ed esterni) lo
stanno attendendo al varco dei ballottaggi. Benché il premier continui a
dire che «non si può legare la vita del governo al voto in alcune
città», è inevitabile che se le elezioni non dovessero andare bene per
il Pd, si aprirà nel suo partito e nelle forze dell’opposizione un
dibattito sull’esecutivo.
Il presidente del Consiglio ne è
conscio: «C’è chi nutre la speranza — ragiona con i collaboratori — di
poter mettere in atto un gioco di palazzo per non farmi arrivare nemmeno
al referendum e farmi cadere prima. Ma non ci riusciranno». La qual
cosa, anche se, come è ovvio, amareggia Renzi, non sembra però stupirlo
più di tanto: «Dal loro punto di vista lo capisco pure. Pensano che se
vince il “sì” al referendum sono finiti e allora tentano il tutto per
tutto». Con «nessuna possibilità di riuscita», a suo giudizio, anche
perché si tratta di uno schieramento «eterogeneo», che non ha un
«progetto politico alternativo» e nemmeno «un leader». Renzi ritiene che
questo fronte non sia perciò in grado di mettere su un altro governo
che, magari, si dia come missione quella di riformare l’Italicum. Cioè
quella legge elettorale che il premier ha già detto di «non voler
modificare manco morto».
Nel novero di chi vorrebbe vederlo
togliere il disturbo anzitempo, il premier mette anche qualche
avversario interno, ma non tutta la minoranza, perché Renzi è convinto
che quelli «che vogliono giocare allo sfascio» sono pochissimi. Come si
contano sulle dita di una mano, secondo lui, i «bersaniani» che
potrebbero abbandonare il partito in caso di vittoria del «sì».
A
tutti gli altri, cioè alla gran parte della minoranza interna che ha
accettato e accetta il Pd come terreno di gioco e non immagina
futuribili scissioni, Renzi dà appuntamento a luglio. Il presidente del
Consiglio, infatti, ha in animo di convocare per l’ultima settimana del
prossimo mese l’Assemblea nazionale del Pd. In quella sede si procederà
al «chiarimento» interno, ma, nelle intenzioni del premier quella sarà
anche la sede dove fare il punto sul referendum di ottobre. Renzi ha già
detto — e ripetuto — che non vuole «cacciare nessuno»: «Non sarebbe da
me». Però punta a presentare un partito il più unito possibile
all’appuntamento referendario. Per questo, in vista della campagna per
il voto di ottobre, che avvierà già in agosto, vuole «fare chiarezza».
Per luglio, ragionano i renziani, non ci si potrà più trincerare dietro
la giustificazione che bisogna occuparsi delle amministrative e solo
dopo dei referendum, quindi ognuno dovrà «manifestare apertamente le
proprie opinioni». E, come è solito dire il premier, «chi ha votato sì
alla Camera dovrà spiegare perché invece al referendum voterà no».
E
a proposito del referendum. La data più gettonata, ne ha parlato anche
Renzi pubblicamente, è il 2 ottobre. Ma c’è una novità. Il voto potrebbe
essere spostato più in là, all’ultima domenica del mese: il 30 ottobre.
Non c’è ancora niente di definito a questo riguardo, ma da qualche
giorno in qua da Palazzo Chigi filtra anche questa nuova, possibile,
data.
Tornando al Pd: la minoranza vorrebbe che Renzi facesse un
passo in più sulla strada del «chiarimento», andando quanto prima al
Congresso. Il premier sembrava aver aperto a questa prospettiva nella
penultima riunione della Direzione del partito. Ma è effettivamente
così? Calendario alla mano, sembra difficile che si riesca a tenere le
assise nazionali a breve. «Per il lavoro della “Commissione per le
regole congressuali” — ragiona Renzi con i suoi — ci vorranno almeno sei
mesi, poi si devono tenere i congressi locali, quindi, a occhio, si
arriva all’autunno del 2017».