La Stampa 16.6.16
Per vincere a Hillary serve Sanders
di Gabriel Guerra Mondragon
Le
elezioni presidenziali del 2016 sono giunte a un punto cruciale e
finale: Hillary Clinton ha vinto le primarie del partito democratico ed è
il candidato alla presidenza, una donna, per la prima volta nella
nostra storia. In campo democratico le primarie hanno visto un lungo e
combattivo confronto tra Clinton e Sanders che è durato quasi un anno e
mezzo. Quando entrambi annunciarono la loro candidatura, Hillary era in
vantaggio. Con sorpresa di tutti, Sanders si è lentamente creato un
grande seguito, principalmente tra gli elettori tra i 18 e i 30 anni e
l’ala della sinistra-liberal del partito democratico.
Sanders ha
rivolto un invito a una rivoluzione nazionale nel settore
dell’istruzione superiore rivendicando l’istruzione gratuita per tutti,
ha poi sferrato un attacco vigoroso a Wall Street evidenziando la
disparità economica tra i ricchi e la classe media, rivendicando la
necessità di introdurre tasse più alte.
Clinton ha fatto più di un
passo in avanti concordando con Sanders sulle questioni nazionali ma
contestando le sue prese di posizione più drastiche e il modo in cui
avrebbe finito per pagarne lo scotto, spostandosi troppo a sinistra,
cosa che rende difficile vincere le presidenziali. Sulla politica estera
Sanders non ha mai rappresentato una minaccia per Clinton data la sua
storia pubblica e la sua esperienza da Segretario di Stato per quattro
anni con il presidente Obama.
Il confronto alle primarie è stato
serrato e aspro, ma sempre basato su differenze di enfasi, non su
insulti personali e umilianti, come è accaduto da parte repubblicana,
dove abbiamo visto come questo tipo di attacchi alla fine abbiano
profondamente diviso il partito.
Dopo queste primarie infinite,
tutto si è concluso in California. Dove Clinton e Sanders hanno avuto
uno scontro molto aspro poiché questo non solo era l’ultimo Stato ma
anche quello con il maggior numero di delegati alla Convention
democratica, dato il suo numero di abitanti. Si immaginava un risultato
ravvicinato ma alla fine Clinton ha vinto con un grande distacco,
centrando il numero magico di delegati per ottenere la candidatura.
Molti pensano che questa battaglia tra Clinton e Sanders abbia
rafforzato Hillary e unito ulteriormente il partito.
A quel punto
la vittoria era certa e il presidente Obama e il vice presidente Biden
hanno espresso il loro importante e pieno appoggio a Clinton. La corsa
democratica per la presidenza era finalmente finita.
Da notare che
ora Clinton riceverà il supporto frontale di Obama e Biden che faranno
una sfegatata campagna per lei in tutti gli Stati chiave. Questo sarà un
fattore determinante per il successo.
Ora il partito ha bisogno
di compattarsi, e lo farà. Sanders chiederà al Partito democratico e a
Clinton di includere le sue posizioni nella piattaforma del partito e
chiederà rispetto per sé e i suoi seguaci. E questo accadrà. (Si sono
incontrati martedì). Non solo perché le loro differenze politiche non
sono così grandi ma anche perché il partito e Clinton hanno bisogno del
sostegno di Sanders e in particolare dei suoi giovani e leali elettori e
della sinistra, per l’unità e la vittoria. Nelle prossime settimane
vedremo questo partito fare quadrato. Questo culminerà, a fine luglio,
nella Convenzione nazionale democratica a Philadelphia. Prevedo che alla
chiusura vedremo Hillary Clinton, il presidente Clinton, il presidente
Obama e la moglie Michelle, il vice presidente Biden e la moglie Jill,
il senatore Sanders e la moglie Jane con le mani alzate in segno di
vittoria davanti ai democratici euforici e ansiosi di andare in trincea e
combattere fino alla fine contro il controverso Donald Trump.
Purtroppo,
questa felicità che abbiamo così apprezzato è stata breve. È stata
spenta lo scorso sabato da una vera doccia gelata. Abbiamo visto la
tragedia, il sangue, l’odio spietato, la morte dei giovani e ancora i
feriti a Orlando, in Florida, quando un solitario, cittadino degli Usa
con tendenze omofobiche e islamiche radicali ha sferrato un attacco
terroristico contro una popolare discoteca gay, uccidendo e ferendo
molte persone.
Questo terribile incidente ha subito fatto
irruzione nella corsa presidenziale. Trump si è prodotto nelle sue note
dichiarazioni incendiarie e roboanti in materia di immigrazione,
proponendo il temporaneo bando di tutti i musulmani e affermando che il
terrorista era nato in Afghanistan, quando invece è nato nel Queens, New
York (proprio come Trump). Inoltre ha affermato che gli Stati Uniti
sono deboli e mancano di leadership.
Il giorno dopo è arrivato un
attacco frontale. Martedì sia il presidente Obama, dopo il suo incontro
con la sua squadra della National Security, sia Clinton, a un evento
elettorale a Pittsburgh, hanno attaccato e colpito duramente Trump
definendolo come inadatto, bugiardo, superficiale con una personalità da
reality e pericoloso. Entrambi sono stati molto eloquenti e il
presidente era visibilmente arrabbiato ed emozionato nella sua difesa
della lotta contro l’Isis, soffermandosi sulla tragedia di Orlando, «che
è stato un attacco a tutti noi», e sulla posizione sbagliata di Trump
contro i musulmani considerati come non americani. Infine ha espresso il
suo autentico disgusto per le politiche sull’immigrazione di Trump,
dichiarandosi sorpreso che i leader del Partito repubblicano possano
tollerare le sue posizioni bigotte (l’ultimo sondaggio di Bloomberg dà
oggi Hillary con 12 punti di vantaggio su Trump).
Questo è
l’inizio di quella che sarà una delle più difficili e sporche campagne
elettorali nella storia americana. Sarà dura. Teniamoci stretti, sarà un
percorso accidentato.
*Ex ambasciatore Usa in Cilenel 1994-98, sostenitore della campagna presidenziale di Hillary Clinton
Traduzione di Carla Reschia