La Stampa 16.6.16
E Trump guarda oltre i confini dei due partiti
di Kurt Volker
Un
anno fa, nessun analista politico serio avrebbe creduto che Donald
Trump avesse la possibilità di ottenere la candidatura del Partito
repubblicano per le elezioni presidenziali degli Stati Uniti. Tutti
questi analisti, me compreso, sbagliavano. Non solo Trump ce l’ha fatta,
ma c’è riuscito a pieno titolo, raccogliendo abbastanza voti per
vincere al primo turno alla convention repubblicana il mese prossimo.
Ora dobbiamo affrontare questo fatto: Trump ha buone possibilità di
vincere le elezioni presidenziali degli Stati Uniti.
Trump ha
ottenuto la candidatura non come un repubblicano tradizionale, ma
scavalcando il partito repubblicano e utilizzandolo come piattaforma per
una campagna populista contro tutte le élite politiche - democratiche o
repubblicane.
Trump ha conformato con successo la sua campagna
alle emozioni degli americani medi che sono arrabbiati, impauriti e
infelici. Avvertono rischi crescenti in patria e all’estero -
un’economia debole, la perdita di posti di lavoro, il rapido cambiamento
sociale, la spesa pubblica fuori controllo, un Medio Oriente in crisi,
il terrorismo ispirato dall’Isis, una Russia aggressiva, una Cina in
competizione con gli Stati Uniti. E percepiscono il governo di
Washington, guidato da élite rese ricche dai soldi delle tasse, come
scollegato dal cittadino americano medio, e penosamente inefficace e
incompetente.
Molte delle prese di posizione e delle proposte
politiche di Trump sono bizzarre: dal vietare a tutti i musulmani
l’ingresso negli Stati Uniti, alla costruzione di un muro al confine tra
Messico e Stati Uniti. I suoi interventi sono pieni di connotazioni
cospirative, razziste, xenofobe. Tuttavia non possono essere considerate
proposte politiche serie. Piuttosto, le sue osservazioni sono un
riflesso delle emozioni di elettori che non credono che Washington sia
seriamente intenzionata ad affrontare i problemi, dal lavoro
all’immigrazione al terrorismo. Trump, per come la vedono loro, «dice le
cose come stanno» e «farà piazza pulita».
Anche dopo la
sparatoria di Orlando, il più letale attacco terroristico avvenuto negli
Stati Uniti dopo l’11 settembre 2001, Trump è andato all’offensiva
contro il presidente Obama e, per suo tramite, contro l’incapacità di
Washington. La sua critica è minacciosamente semplice: o il presidente
Obama non ha idea di quello che sta facendo o, peggio ancora, è parte
del problema. Una dichiarazione così scandalosa è inquietante solo per
l’élite che Trump prende di mira. Fuori da Washington sarà vista da
molti come un altro colpo inferto a un sistema inetto.
Il percorso
di Trump verso la Casa Bianca è reso più facile dal fatto che il
candidato democratico sarà Hillary Clinton. Nessuno più di lei - al
centro della politica degli Stati Uniti da quasi 30 anni - appare
funzionale al sistema.
Alle primarie repubblicane, Trump ha
trionfato perché ha fatto un solo fascio di tutti i suoi avversari
politici etichettandoli come un’élite imbelle e ponendosi come l’unica
persona in grado di portare al cambiamento. Con Hillary Clinton questo
sarà ancora più facile, presentandola come la continuazione delle
politiche «fallimentari» di Barack Obama.
Trump ha successo anche
perché le sue pittoresche esternazioni gli valgono una copertura
mediatica a livello di saturazione. È davvero difficile per i suoi
avversari ottenere attenzione. Ha ignorato le tattiche ben collaudate
del passato - massiccia pubblicità politica a pagamento, vere campagne
solo negli Stati in bilico, messaggi vaghi ma testati nei gruppi di
discussione, riposizionamento al centro con l’approssimarsi del voto.
Lui, invece, ha comunicato direttamente con gli elettori - di sinistra,
di destra e indipendenti - attraverso i notiziari di attualità e la
sensibilizzazione dei social media.
Non c’è dubbio, le opinioni
negative su Trump tra gli elettori sono estremamente diffuse. Molti
odiano tutto quello che rappresenta e hanno giurato di non votarlo mai.
Ma anche i pareri negativi su Hillary Clinton sono molti, e altrettanti
hanno giurato di non votare per lei. Per entrambi i candidati ci sono
due compiti fondamentali. Uno è quello di portare alle urne nuovi
elettori. Nel caso di Trump i diseredati che si sono sentiti lasciati
fuori dalla politica tradizionale. Nel caso di Clinton gli ispanici e le
altre minoranze che potrebbero iscriversi a votare semplicemente per
opporsi alle politiche di Trump sull’immigrazione. Possono riuscirci
entrambi, ma chi lo farà meglio avrà un impatto diretto sulle elezioni.
Il
secondo compito è quello di attrarre elettori dell’altro partito pur
mantenendo la propria base politica. Qui, Trump può avere un vantaggio.
Anche se molti democratici aborriscono le politiche di Trump, alcuni
indubbiamente concordano con la sua posizione anti-Washington. Questi
elettori, che si sono schierati con Bernie Sanders alle primarie
democratiche, potrebbero passare a Trump.
Hillary Clinton, d’altra
parte, potrebbe avere delle difficoltà a far passare dalla sua parte i
repubblicani moderati. È troppo nota e troppo antipatica alla maggior
parte degli elettori repubblicani.
In conclusione, è ancora troppo
presto per prevedere l’esito delle elezioni - ed eventi inaspettati
come l’attacco terroristico di Orlando possono influenzare il voto negli
ultimi giorni. Ma per ora dobbiamo almeno affrontare il fatto che
Donald Trump non è solo un valido candidato ma potrebbe anche vincere.
*Ex ambasciatore e Direttore esecutivo del McCain Institute for International Leadership Arizona State University
Traduzione di Carla Reschia